Vorrei tutte le chitarre di Jimi Hendrix

Omar Pedrini, classe 1967, è stato tra i fondatori della band dei Timoria che si è sciolta nel 2003. Ha all’attivo 5 album da solista. È appena uscito il suo ultimo singolo, scritto da Noel Gallagher IL MIO MODELLO DI RE? NERONE. Come lui appiccherei fuochi su fuochi: alle barriere, alle dogane, ai confini. E avrei sempre la mia chitarra in mano, come lui aveva la cetra. Non sarebbe una chitarra qualunque, ma il mio primo sfizio da capo supremo del mondo: mi procurerei tutte le chitarre di Jimi Hendrix ancora esistenti, e comparirei in pubblico sempre con loro. La mia reggia sarebbe la reggia dei Gonzaga, a Mantova: città colta e dolce. Come i Gonzaga sarei un amico delle arti. Soprattutto - ma devo specificarlo? - della musica. Le darei aiuti di Stato come li ha il cinema, nelle scuole avrebbe tante ore quanto l’italiano e l’inglese e nei programmi, accanto a Shakespeare e a Dante, metterei Piero Ciampi e Fabrizio De André. E quel mesto flauto dolce che si studia alle medie, via! Vorrei che ciascun ragazzino si scegliesse uno o più strumenti. Sulla carta d’identità metterei stato civile, altezza, professione; ma anche “strumento/i suonato/i”, perché che tu sia un pianista o un arpista ti definisce quanto il colore dei tuoi occhi. Utopie da imperatore rocker? No, vi sbagliate. Lo farei perché davvero credo che la musica sia l’unico linguaggio universale, lo stesso che parlano i migranti e i banchieri, i ragazzi e i nonni. Per farlo capire a tutti, la silenzierei per un giorno soltanto: vi piacerebbe, un mondo senza le sette note? Non scamperebbe, al mio impero sinfonico, nemmeno il vino: darei ai vitigni nomi di grandi musicisti, dal Rolling Stone (Prosecco frizzante) al Verdi (un Amarone corposo). A corte avrei consiglieri anziani, al governo ministri neolaureati; ai lavori forzati (cioè volontariato accanto ai più deboli) chi è incapace di gratitudine. Forse perché nella mia vita, di ingrati, ce ne sono stati parecchi.