FUMETTI VIVENTI
UN GIORNO A LUCCA COMICS
Come su Facebook, ma dal vivo. Un giorno a Lucca Comics
Collezionisti pazzi, gente mascherata da Iva Zanicchi, supereroi sconosciuti. Al grande evento toscano dedicato ai fumetti e al fantasy partecipa una folla variegata che condivide il tifo per la stessa squadra: quella dell’immaginazione
DI MIO, sono piuttosto misantropo. Nanni Moretti, in Caro diario, diceva di credere nella minoranza delle persone. Io, invece, credo che la maggioranza delle persone sia irricevibile. Tutti insieme, non li sopporto. Ma quando me li trovo davanti, singolarmente, scopro quasi sempre un motivo per innamorarmene. Adoro gli individui e la loro follia diffusa. Mi veltronizzo. E forse, invecchiando, non è un male. Prendete Lucca, gemma nel diadema della Garfagnana, luogo mitologico che da ragazzi evocava in molti di noi gioia e rivoluzione. Devo aver progettato mille volte una fuga verso gli studi di Videomusic, la Mtv alla pizzaiola, quando ancora i mulini erano bianchi e la globalizzazione un rombo lontano. Ma non c’era mai il treno giusto. Lucca è l’annuale epicentro di una mandria umana che a una prima e sommaria indagine parrebbe composta da pericolosi psicopatici. Gente che spende centinaia di euro per una figure (che poi sarebbe il modellino di un personaggio dei fumetti, o dei videogames), che investe stipendi per costumi carnascialeschi fuori stagione, autoprodotti, i cosplay, che sta in fila ore solo per avere l’autografo di gente bravissima ma a me totalmente
DI L UCA B OTTURA FOTO DI L ORENZO MA C C O T TA
ignota, che condivide il tifo per una squadra immateriale senza avversari diretti: la squadra della fantasia.
TROPPO? VE L’HO DETTO che mi sto rammollendo. O forse sto diventando saggio. O, forse, sono felice di andarci, a Lucca, perché per la prima volta da quando la frequento è mio figlio che insegna a me dove sono. Lui ha 15 anni. Generazione “sdraiati”, secondo un popolare libro, e film, scritto da un letterato-teppista cui devo quasi ogni sillaba del mio percorso professionale. Eppure, a vederlo lì col suo costume, mentre finisce di prepararlo, mi sembra una specie di piccolo eroe. Combatte con quel magma faticosissimo che l’adolescenza a volte può essere. E mentre sistema i dettagli del suo cosplay, che si chiama come lui, Emil, uno scheletro coi superpoteri che per acquisirli ha dovuto rinunciare al corpo, un po’ come i giovani uomini rinunciano al bambino che erano fino a poco prima, mi pare coraggiosissimo. Anche se poi ha paura della vita che arriva. Come tutti,
a quella e in età successive. E mi piace da morire abbandonarmi al suo sapere, proprio io che non distinguo Paperina da Ratman. Perché poi, certo, gli avrò anche raccontato che certi personaggi della sua saga preferita sembrano presi pari pari da Andrea Pazienza («È vero! L’autore ama molto l’Italia!») ma ogni 2x3 devo girarmi per chiedere: chi è quello? Che fa? Chi rappresenta? Prima di andare a scoprire chi c’è sotto: un pubblicitario, un barista, un ex calciatore. Mentre intorno si realizzano eventi soprannaturali. Tipo il concerto di Cristina D’Avena. O il primo scontrino fiscale della giornata. Credo verso le 23. Lucca è una fiumana in cui mi è dolce naufragare. Perché certo, il Comicon di San Diego sarà la manifestazione più grande del mondo. Ma intorno ci sono dei capannoni, mica delle mura centenarie. E poi sono sicuro che in California certi cosplay se li sognano. Qui c’è il tizio vestito come il protagonista di un vecchio spot, quello dei pennelli Cinghiale: Emil lo riconosce perché l’aveva visto su YouTube. «Per la parete grande, ci vuole il pennello grande!». C’è lo stand della Tassoni subito dietro: «Quante cose al mondo puoi fare…». Anche quello stava su Internet. C’è quello di Scientology, che pare scherzo ma non è. E in effetti anche quello è un di gioco di ruolo. Costosissimo, pare.
E c’è lo stand dell’Esercito. Dove un gentile colonnello spiega a entrambi come arpionare i giovani: li fanno giocare su un simulatore di volo. Poi un modulo. Poi, forse, una carriera da ufficiale. C’è un ragazzo con la maglietta di Attack On Titan. Vuol diventare tenente medico. Per fortuna si è iscritto a Medicina solo quest’estate e forse cambierà idea in tempo. Se c’è qualcosa di positivo nell’andare in giro con un taccuino in mano
C’è a chi basta un pigiama da puffo e chi ha impiegato tre mesi per somigliare a Mysteryo, un cattivo della Marvel che ricorda quasi solo lui
(specie se non ti imbatti in un cosplay fascista che ti tira testate in faccia) è l’inciampo nelle vite altrui. Giocose e corroboranti, in questo caso. Come l’avvocato di Sassari – “penalista, civilista” - che è venuto con due colleghi e indossa ali di compensato larghe due metri, una tutina blu decorata a mano di fucsia, una maschera che ne copre un’altra, da teschio dorato. È una tenuta da Cavaliere dell’Apocalisse. O come il padre ravennate convinto dal figlio a realizzare il costume da Ironman che porta addosso. Ha più di sessant’anni. Spinge un tasto e partono le lucette. La moglie gli toglie e gli mette l’elmo perché quando lo indossa non riesce a muovere un passo senza essere fotografato. Sono bellissimi, sorridenti, accoglienti.
C’È UN RAGAZZO guineiano che veste un costume originale, un incrocio tra un angelo e le oba-oba, con un’enorme arpa a forma di falce per simboleggiare la vita e la morte. Studia scienze della comunicazione a Pisa ma qui, quando si mette in posa a favore di obiettivo, si sente molto più a suo agio che là. C’è un altro Ironman, scintillante, romano, che il costume invece l’ha comprato. Ha speso 3.000 euro. È attorniato da smartphone che scattano. Con lui c’è la compagna che si occupa di assistenza ai piccoli disabili. Ogni tanto porta il marito, così bardato, a far felici i bambini. Si sentono utili. Sono utili. C’è un giovanotto vestito da Garibaldi. Ha 19 anni, viene da Milano, vuole l’Italia unita e ci tiene a farlo sapere. Ha speso due lire: una camicia rossa all’Esselunga, una barba da carnevale, una spada prestatagli da un amico. Ma è perfetto. Come il ragazzo di Ferrara bardato da Iva Zanicchi, che trascina una ruota della fortuna autoprodotta, mentre piccoli altoparlanti gracchiano la sigla di Ok il prezzo è giusto, le ali di folla scandiscono «Cento! Cento! Cento!» e lui si mette in contatto con un immaginario che non ha vissuto. Sembra Midnight in Paris, ma con le musiche del maestro Martelli. E mentre Emil mi indica questo o quell’altro, si compra una katana non affilata (meglio: non vorrei far la fine di quel collega di lavoro che fu deprivato di un orecchio dal figlio cosicché poi lo chiamavano “er tazzina”), e si sgancia per andare a incontrare i suoi amici che vengono chi da Roma, chi dalla Puglia, chi da Prato, anche se il papà è indiano e la mamma sudafricana, è come se d’un tratto mi fosse chiaro dove sono finito: è Facebook, ma dal vivo. Ogni foto è un like. Ma la comunità che genera questa follia collettiva è qualcosa di più concreto. Diventa
un imbuto per condividere una trasgressione, non alla morale, ma del proprio percepito. C’è a chi basta un pigiama da puffo (Emil non li ama, troppo dozzinali) e chi ha impiegato tre mesi per somigliare a Mysteryo, un cattivo della Marvel che ricorda quasi solo lui. Ci sono gli steampunk (gente metallica) e i cyberpunk (gente del futuro). C’è un tizio che si è reinventato “Anguria meccanica”. C’è il cosplay di Gesù. Ci sono bande e regole che ognuno modifica cercando un contatto superficiale, ora, ma poi chissà, che gratifichi l’autostima prima del prossimo tortello. Un altro selfie. Clic. C’è tutto questo e molto altro. In questa sorta di adolescenza diffusa in cui il fanciullino pascoliano incontra i social e ci riporta all’età in cui quasi sempre è cominciato tutto. Quindici anni, appunto. Quando stavamo sempre attaccati al televisore e i genitori cercavano di mandarci in cortile. Di aprirci un libro davanti. Senza sapere che li avremmo letti dopo. Ma intanto ci formavamo anche così. Così come ci sarà un dopo anche per chi sta sempre davanti allo schermo di un pc, anche troppo, ma magari sta stringendo amicizia con un tizio all’altro capo del mondo, o con un ragazzo transgender che lo mette in contatto senza paure coi temi di cui noi adulti dibattiamo quasi sempre ad minchiam. E parla già buon inglese, grazie alla rete, anche se non saprebbe indicare i confini dell’Emilia-Romagna. Quindici anni, quelli a cui mi ha riportato questo giro. Questa piccola epifania di mondi che collidono senza ferirsi. Visto da vicino nessuno è normale. Ma, anche, visto da vicino quasi ciascuno è non male.
UN DISEGNATORE GIAPPONESE (mai amati, i disegni animati giapponesi, ma questo lo conosco persino io) ha investito il mondo con le sue storie di formazione e disagio superato: da Ponyo, una pesciolina che vuol diventare umana, a Porco Rosso, che a dispetto del nome non è un circolo di Ostia ma un maialino italiano che pilota aerei di guerra. Mi sa che l’anno prossimo mi vesto proprio da Miyazaki. E lascio Emil andare in giro da solo. Libero.
C’è una sorta di adolescenza diffusa in cui il fanciullino pascoliano incontra i social e ci riporta all’età in cui quasi sempre è cominciato tutto. Quindici anni, appunto