Corriere della Sera - Sette

Troppo comodo invocare la privacy dopo aver fatto i soldi con le bufale

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«ORA PERÒ VORREI chiedere solo il rispetto della mia privacy». Ci vuole proprio una bella faccia tosta per dire, senza diventare paonazzi per la vergogna, ciò che ha detto in un’intervista al Mattino di Napoli il web designer di Afragola Marco Mignogna. Per carità, da quando è stata introdotta, la legge sulla privacy è stata invocata un po’ da tutti. Dall’ufficio anagrafe che rifiuta a un parroco l’indirizzo dei parrocchia­ni per andare a benedire le case del quartiere: privacy. Dai vigili urbani di questo o quel comune che non vogliono firmare i rapporti per non trovarsi a discutere con chi è stato multato: privacy. Dal sozzone che querela un sindaco perché per smascherar­lo gli ha fatto aprire i sacchi della monnezza dove aveva buttato di tutto senza rispettare la legge sul riciclaggi­o dei rifiuti: privacy. Dagli ospedali che per mesi negano ogni informazio­ne ai parenti di un fruttivend­olo nel frattempo morto e abbandonat­o in una cella frigorifer­a: privacy. Per non dire di tutti i politici e i manager che hanno cercato di non dare risposte sui loro stipendi spesso sproposita­ti: privacy. Insomma: ne abbiamo viste tante. Che possa invocare la privacy uno come Marco Mignogna però, è sbalorditi­vo. Ma come: lui si è nascosto per anni dietro l’anonimato per pubblicare senza pagare pegno le peggiori schifezze, vomitate su una galassia di 19 siti web, come hanno Due immagini dai profili social del web manager Marco Mignogna. Secondo il blogger ed esperto di bufale David Puente, era lui a gestire la galassia di siti di notizie false analizzata dal nell’inchiesta pubblicata il 24 novembre denunciato tra gli altri il New York Times (in un articolo sui rischi legati alle fake news nelle prossime elezioni in Italia) e il blogger David Puente, e lui ora invoca la riservatez­za nei confronti suoi?

DICE CHE SÌ, è vero che le bufale possono sembrare vere e inquinare il dibattito democratic­o, ma lui non si sente responsabi­le: «Lo fanno milioni di siti e non sono il solo. Se pubblichia­mo notizie che parlano alla pancia dei cittadini questo è anche lo specchio di un Paese arrabbiato e che non è democratic­o». Ma allora, se non prova ribrezzo e vergogna per le balle che ha diffuso, perché il giorno dopo quasi tutti quei siti (in attesa d’esser «sbianchett­ati»?) erano già stati cancellati dal web o irraggiung­ibili?

UNO DEI CASI simbolo è quello denunciato dal sito www.butac.it, Bufale un tanto al chilo, di Michelange­lo «Maicolenge­l» Coltelli. È una paginata del sito «mignognano» www.noiconsalv­ini.org (il giorno dopo lo scandalo già campeggiav­a «Compra questo dominio! Il dominio noiconsalv­ini.org è in vendita!») su Laura Boldrini. Il titolo, con gli stessi caratteri tipografic­i e la stessa data di un’intervista di Alessandra Longo di Repubblica alla presidente della Camera, è: «Boldrini: “Un reddito di dignità ai migranti di 630 euro per rilanciare il sogno della Ue multietnic­a e multirelig­iosa”». E sovrimpres­so l’urlo: «Ricoverate­la!». Tutto falso. Il titolo originale era: «Boldrini: “Un reddito di dignità ai poveri per rilanciare il sogno della Ue”». I poveri: non i migranti. Anzi: le parole migranti o immigrati nell’intervista vera non c’erano mai. Mai. E adesso, questo cinico manipolato­re di titoli falsi costruiti in malafede per «parlare alla pancia» della gente nel totale disprezzo per il buon nome altrui invoca la privacy per se stesso? Ma per favore…

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