Terremoto i n I rpinia, 37 anni e ancora t roppe macerie
Settebello@rcs.it.
a Ogni giovedì pubblichiamo il miglior testo d’attualità inviato dai lettori A fine anno, proporrà una collaborazione all’autore dell’articolo più condiviso dalla nostra pagina Facebook SI LO SO. QUANDO 37 ANNI FA IL TERREMOTO ha colpito la mia terra, l’Irpinia, io (per fortuna) non c’ero, sono nato cinque anni più tardi. Non ho salvato nessuno dalle macerie né tantomeno ho partecipato alla conta dei morti (avrei usato quasi tremila dita), non ho visto gente riversarsi in strada e non ho udito i pianti delle madri disperate per i propri figli. Non ho osservato l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, mentre subiva insulti e sputi dai miei concittadini. Ma la storia non devi necessariamente viverla per sentirne il riverbero. A volte si attacca a chi c’era e si trasmette di persona in persona, di famiglia in famiglia, di racconto in racconto, di casa in casa.
LE CONSEGUENZE di quella tragedia, infatti, le incontro ogni giorno. Quando nel mio palazzo scendo o salgo le scale che – storiche come la scala Mercalli, quella che misura l’intensità dei terremoti – hanno resistito all’onda d’urto di quel 23 novembre 1980. Oppure quando, alla minima oscillazione del nostro lampadario, osservo mia sorella (lei sì che c’era) precipitarsi sotto un tavolo, una trave, il vano di una porta. Ma, soprattutto, rivivo quei terribili 90 secondi attraverso i ricordi delle persone, perché il sisma è ancora lì, pronto a scuotere le loro menti e i loro occhi: ha ormai quasi quattro decenni d’età, ma non li dimostra affatto. È sempre giovane, lui. Questi quattro decenni avrebbero potuto insegnarci molte cose, invece siamo sempre lì, in una fase di perenne stallo pronti a interrogarci sugli errori della politica, il ritardo dei soccorsi, il magna magna dei miliardi stanziati. Domande legittime, sia chiaro, ma che ne è stato di tutta quella umanità, di tutta quella solidarietà? La risposta è peggio di un terremoto: puff, svanita.
NEL DRAMMA SIAMO PRONTI ad aiutarci, lo abbiamo visto anche nella più recente tragedia sismica che ha colpito il Centro Italia. Nella vita quotidiana, in quello che è il «dopo», però, prevalgono l’individualismo e gli interessi personali. Soprattutto in una Campania intrisa di un campanilismo (non mi scuso per il gioco di parole, era voluto) robusto, ma non certo sano. Ci sono ancora delle case da ricostruire? Sì, tante e non solamente quelle. Ci sono ancora da ricostruire le vite di intere famiglie e anche quelle di molti paesi. Perché i ricordi del terremoto vivono dentro di noi, ma la morale, purtroppo, ci ha lasciati da un pezzo.