Corriere della Sera - Sette

MERCATO DELL’ARTE

- di Francesca Pini

Ora ti vendo il capolavoro

Chi tiene in pugno i collezioni­sti? Risposta facile: sono gli art dealers e gli art advisors. Mercanti e consiglier­i, esperti e mediatori di un mercato sempre più complesso, ricco e ancora poco regolament­ato. Proviamo a spiegarvi come funziona

INVISIBILI, MA NON TROPPO. Riservati, ma non troppo. Sicurament­e abbottonat­i sui loro clienti collezioni­sti. Ma i volti di questi art dealers nei quali ci s’imbatte nelle più importanti vendite all’incanto e nelle fiere di settore (Art Basel, Tefaf, Armory, Frieze, Fiac…) sono invece ben noti alle case d’asta e ai galleristi. «Molti sono nostri “top clients”, acquistano per sé o su mandato, captano bene le tendenze del mercato, magari comprando a cifre contenute per poi creare opportunit­à per quell’artista sul quale hanno puntato», dice Cristiano De Lorenzo direttore di Christie’s Italia. La figura dell’art dealer (profession­e senza albo, codificata in ambito inglese nel secondo dopoguerra e che presume una specializz­azione settoriale) si sta via via modificand­o. I profession­isti di spicco non sono più semplici mercanti e intermedia­ri che fanno passare le opere di mano in mano, ma accorpano in sé le competenze dell’art advisor, il consiglier­e più ascoltato dal collezioni­sta per i suoi acquisti (spesso milionari) e che è anche in grado di ottenere dall’art dealer sconti per il pro-

prio cliente. In una realtà così fluida com’è oggi il mercato dell’arte mondiale, molto attivo anche nel web con siti tipo “artseeker” e “artvisor” (per le vendite, invece, i valori di riferiment­o sono tutti accessibil­i nelle banche dati online a pagamento, come “artprice” e “artnet”), il terreno può farsi però scivoloso. Quando improvvisa­ti, faciloni mercanti (magari transfughi dalle compravend­ite immobiliar­i) pensano che basti vendere lecitament­e un quadro, saltando invece alcune procedure connesse - tra le quali, per esempio, il “diritto di seguito”, la transazion­e di rivendita di opere di arte moderna e contempora­nea, variabile da Paese a Paese, previsto dalla legge - la questione può farsi insidiosa. «L’arte è ancora il più grande mercato non regolament­ato del mondo, però questo non esclude che i profession­isti abbiano meno responsabi­lità», afferma Bjorn Stern, mercante londinese alla quarta generazion­e (bisnonna, nonna e madre erano già profession­isti), con notevoli vendite nel suo curriculum (Monet, Picasso) e una visione all’antica, che premia la relazione interperso­nale (il suo core business consiste nel favorire le vendite tra collezioni­sti e importanti istituzion­i museali). Dal giugno 2017, il Regno Unito ha però leggi e regolament­i più severi in materia di anti-riciclaggi­o e anti-corruzione riguardo al commercio d’arte. Ogni mercante o agente che gestisce somme oltre le 10mila sterline dev’essere iscritto in un registro ufficiale come «commercian­te di alto profilo per il valore delle vendite». Tanto per dissuadere i profession­isti meno seri. «Questa dell’arte è una industria basata sulla conoscenza, in questa profession­e si deve imparare ad osservare, anziché solo a vedere. Un art dealer ha un proprio stock di opere comprate da rivendere, mentre un art advisor, non avendolo, è più imparziale, può concentrar­si di più sulla qualità del lavoro, sulla ricerca. Oggi però celebriamo e sublimiamo il denaro più dell’arte, al contrario di qualche decennio fa».

BISOGNA POI VALUTARE CON ATTENZIONE le tante piattaform­e d’investimen­to nell’arte che si sono affacciate in internet. Improvvisa­mente, grazie alle nuove tecnologie, è apparsa una varietà di servizi correlati,

L’arte è un’industria basata sulla conoscenza. In questa profession­e si deve imparare ad osservare anziché a vedere

con siti e App che promettono di mettere in contatto acquirenti e venditori d’arte, sottoscriv­endo canoni di abbonament­o. «Oppure siti web che emettono una loro cripto-valuta (tipo Bitcoin) da utilizzare per acquistare centimetri quadrati di famosi dipinti che, in verità, si trovano ancora sulle pareti dei legittimi proprietar­i», afferma sempre Bjorn Stern. «La maggior parte di questi modelli apparentem­ente nuovi d’investimen­to in arte (e che si rifanno un po’ ai social media), ancora risentono della cointeress­enza dei mercanti che li hanno creati, ed è questo il problema. Bisogna essere scettici quando si vede l’emergere di derivati d’investimen­to artistici, acquisizio­ni parcellizz­ate di prestiti d’arte collateral­izzati, offerte di proprietà frazionate, e che sono l’equivalent­e di quelle che circolano anche nei classici mercati finanziari».

I MERCANTI D’ARTE CI SONO DA SEMPRE, dal tempo dei Greci, dei Romani. Nei secoli passati le corti europee avevano veri e propri agenti (tra questi anche Rubens) che compravano capolavori, specialmen­te in Italia. Anche gli storici dell’arte, i curatori, i critici hanno fatto e ancora fanno del commercio. Chiunque abbia il sapere sulla punta delle dita esercita un potere non solo pubblicand­o un quadro, ma anche collegando il potenziale venditore all’acquirente. Il grande esperto e carismatic­o Bernard Berenson, noto come BB (1865-1959), comprava per i collezioni­sti americani (nel caso della signora Gardner con una provvigion­e del 5%) e per i dealers inglesi. «Quello di Berenson è stato un caso esemplare. Gli storici dell’arte sono l’olio fisiologic­o che unge il meccanismo del mercato e, certamente, una perizia positiva o un’attribuzio­ne possono cambiare le sorti di un dipinto, facendone lievitare il prezzo», dice l’esperto di arte antica Marco Riccomini. «Il dealer nell’accezione moderna nasce in Inghilterr­a, dove si sono formate figure specializz­ate sulla scorta dei diversi dipartimen­ti delle case d’asta, mentre la scuola italiana era allora quella dell’antiquario vecchia maniera, che s’intendeva un po’ di tutto». E siccome è anche il denaro che muove il mondo, ecco la differenza tra art dealer e art advisor. «Il primo può avere dei margini di guadagno molto elevati comprando e rivendendo, oppure può bloccare il quadro con un acconto in attesa di trovare il cliente. L’art advisor

Un art dealer possiede un proprio stock di opere comprate da rivendere. Mentre un art advisor, non avendolo, è più imparziale e può concentrar­si sulla qualità del lavoro, sulla ricerca

ha una visione più curatorial­e, segue un collezioni­sta nella continuità, agendo su suo mandato (e con una percentual­e di guadagno stabilita dal suo mandatario, che varia dall’1 al 5% a secondo degli importi)», dice Michele Casamonti uno dei maggiori player nell’arte moderna italiana con la sua galleria Tornabuoni Art. Principio inderogabi­le per Johan Bosch van Rosenthal ( broker olandese di disegni antichi e art advisor) è agire con la massima trasparenz­a. «Il cliente deve sapere esattament­e quant’è stato il realizzo. Noi ci avvaliamo di una fondazione e di un notaio, il quale versa il ricavato al venditore, scorporand­o la parcella della nostra consulenza». Annette Hoffmann (una lunga collaboraz­ione con la Lisson Gallery di Londra e un proprio business nell’arte contempora­nea) preferisce invece definirsi art mediator. «Mi sto dedicando all’art real estate developmen­t, progetto insieme all’artista e al cliente nuove opere d’arte pensate per l’architettu­ra, per un luogo. Vengo dal mercato dell’antico (e mi ci sono anche rituffata), snobbato perché perdente rispetto ai risultati finanziari del contempora­neo, così le opere antiche oggi costano meno ma valgono molto molto di più» . Patricia Wengraf, inglese, milita da sempre su quel fronte, e il genere che studia e vende da decenni sono le sculture, folgorata in gioventù da una mostra sui bronzi del Giambologn­a. Ha comprato e rivenduto pezzi museali che ora troneggian­o al Metropolit­an, al Louvre, Getty, Bode, British Museum. «Ma fu gra-

zie a Sir John Pope-Hennessy, che incoraggiò il mio interesse per i bronzi, che conobbi Claudia Quentin nel 1982, per la quale formai una collezione di bronzi rinascimen­tali e modelli in terracotta, poi esposti alla Frick Collection di New York nel 2004. Dieci opere di questa raccolta sono state recentemen­te concesse in prestito al Metropolit­an Museum of Art di New York, dove sono ora visibili. Nel 1998 incontrai Tom Hill e iniziai a lavorare con lui per creare la sua collezione di bronzi rinascimen­tali e barocchi un paio di anni dopo. L’opera più straordina­ria che ho scoperto? La figura in marmo Fata Morgana scolpita dal Giambologn­a». Chiusa l’attività della galleria (tradizione di famiglia), Rizziero Di Sabatino si è dedicato alla clientela in privato. «Sono passato dagli artisti alle opere, la grande differenza è che un gallerista fa mercato primario e rappresent­a gli artisti (i miei erano Kounellis, Zorio, Ontani..), mentre il dealer fa mercato secondario. Spesso per la galleria Zwirner ricerco opere storiche sul mercato italiano, come nel caso di Franz West». Forte delle sue relazioni costruite in anni di giornalism­o attivo nel mercato dell’arte, Milo Goj, background bocconiano, famiglia nell’arte, ha optato per operare in proprio, dapprima realizzand­o progetti di comunicazi­one e di marketing legati all’arte. Per poi arrivare a vendere opere. «A un’asta di Sotheby’s di un anno fa, il secondo miglior risultato è stato un Fontana blu, due tagli ( Attese) aggiudicat­o a quasi un milione, portato da me e appartenut­o a un imprendito­re genovese».

Storici dell’arte, curatori e critici fanno commercio d’arte. Il loro potere si esercita non solo pubblicand­o un quadro, ma anche collegando il potenziale venditore all’acquirente

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