PASSAPAROLA
Passano i millenni ma Omero e Missiroli si fanno ancora la stessa domanda
HO UN DEBOLE per i libri che raccolgono informazioni disparate alla rinfusa. (tipo Manuale delle giovani marmotte, ma anche Zibaldone di Leopardi). Da qualche giorno ho scoperto la Guida tascabile per maniaci dei libri che racchiude curiosità varie: dall’elenco dei mille libri fondamentali a un’antologia di stroncature celebri. C’è anche un catalogo di incipit di tutti i tempi. Ovviamente, ci sono cascato in pieno. Ho preso i primi attacchi del catalogo, quelli antichi, e li ho messi a confronto con gli ultimi, quelli di oggi, per vedere l’effetto che fa. Cominciamo con l’Iliade di Omero, settimo secolo prima di Cristo: «Cantami, o Diva, del Pelide Achille / l’ira funesta che infiniti addusse / lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco / generose travolse alme d’eroi, / e di cani e d’augelli orrido pasto / lor salme abbandonò (così di Giove / l’alto consiglio s’adempìa), da quando / primamente disgiunse aspra contesa / il re de’ prodi Atride e il divo Achille». Ho confrontato l’incipit omerico con quello di Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli, 2015 (dopo Cristo): «Avevo dodici anni e un mese, mamma riempiva i piatti di cappelletti e raccontava di come l’utero sia il principio della modernità. Versò il brodo di gallina e disse: “Impariamo dalla Francia con le sue ondate di suffragette che hanno liberalizzato le coscienze”. “E i p******”. La crepa fu questa. Mio padre che soffiava sul cucchiaio mentre sentenziava: “e i p******”. Mamma lo fissò, Non ti azzardare più davanti al bambino, le sfuggì il sorriso triste. Lui continuò a raffreddare i cappelletti e aggiunse: “Sono una delle meraviglie del cosmo”». Dal confronto nasce una domanda: l’utero di Elena fu il principio dell’antichità? Dunque, tutto si tiene? Altro incipit antico: Odissea di Omero (volendo, la seconda stagione dell’I-
liade) «L’uomo ricco di astuzie raccontami, o Musa, che a lungo / errò dopo ch’ebbe distrutto la rocca sacra di Troia; / di molti uomini le città vide e conobbe la mente, / molti dolori patì in cuore sul mare, / lottando per la sua vita e pel ritorno dei suoi. / Ma non li salvò, benché tanto volesse, / per loro propria follia si perdettero, pazzi!, / che mangiarono i bovi del Sole Iperione, / e il Sole distrusse il giorno del loro ritorno. / Anche a noi di’ qualcosa di queste avventure, o dea, figlia di Zeus». Forse non è astuto come Odisseo, però nel personaggio del papà in Acqua buia (2012) di Joe Lansdale, c’è qualcosa di ulissiaco: «Quell’estate, papà smise di far secchi i pesci col telefono e la dinamite e passò ad avvelenarli con le noci acerbe. Usare la dinamite era una faccenda rischiosa: un paio di anni prima – non so come – si era fatto saltare due dita, oltre a essersi ritrovato un’ustione su una guancia che, di primo acchito, sembrava un bacio dato col rossetto e, a guardare meglio, una sorta di eruzione cutanea». Finiamo con due scrittrici. Saffo, quarto secolo a.C. («Tramontata è la luna / e le Pleiadi a mezzo della notte; / giovinezza dilegua, / e io nel mio letto resto sola»), e Donna Tartt, Il cardellino (2013 dopo Cristo): «Quand’ero ancora ad Amsterdam, per la prima volta dopo anni sognai mia madre. Ero rimasto confinato nella mia stanza d’albergo per più di una settimana, terrorizzato all’idea di chiamare chicchessia o di mettere il naso fuori, il cuore che fremeva e sussultava anche al più innocuo dei rumori: il campanello dell’ascensore, l’andirivieni del carrello del minibar, persino i campanili delle chiese che scandivano le ore, de Westertoren, Krijtberg, un clangore dai contorni vagamente oscuri, come i presagi di sventura delle fiabe». Notte, solitudine, inquietudine, sogni, insonnia, giovinezza che fugge...