UNA CORSA TRA I CONTINENTI
Intorno al mondo in 10 giorni, 8 città, 4 stagioni (solo bagaglio a mano)
BOSTON, LUNEDÌ 27 NOVEMBRE Ore 9:00. Le città, come le persone, hanno i loro umori e le loro stagioni. Quella di Boston è senz’altro l’autunno. È questo il periodo dell’anno in cui i grandi parchi della città, progettati da Frederick Law Olmsted a inizio Novecento, virano al vermiglio. L’ingozzamento collettivo del Thanksgiving è passato, il clima è ancora mite: si esce senza giacca. Gli studenti di Mit e Harvard scorrono veloci sulle loro biciclette, ignari degli esami di fine semestre che, da dicembre, li costringeranno nei dormitori.
Ore 11:00. Riunione con Richard Lester, allampanato vice-rettore del Mit con delega alla ricerca. Snocciola meccanicamente le ultime cifre dell’istituto. Forse Boston non sarà più “The Hub”,– il perno, l’appellativo con cui a metà Ottocento lo scrittore Oliver Wendell Holmes attribuiva alla città il ruolo di capitale culturale d’America. Ma le sue università continuano ad avere un forte potere di attrazione globale. Al Mit è straniero oltre il 40% degli studenti di master o dottorato, mentre i professori arrivano da quasi 100 Paesi diversi. A Harvard è appena arrivata anche una nuova studentessa, Malia Obama, la figlia dell’ex-Presidente, che molti qui si ostinano a considerare ancora in carica (anche io mi vorrei illudere…). Nelle aule universitarie si ricrea un “mondo in piccolo” che insegna la forza della tolleranza e della diversità e la voglia di un domani migliore.
Ore 16:30. Partenza con Lufthansa dall’aeroporto Logan. Tra poche ore, Europa.
MILANO, MARTEDÌ 28 NOVEMBRE Ore 9:00. Atterriamo a Malpensa: la stagione è più avanzata, come se fossimo all’inizio dell’inverno. Saranno le temperature basse e il cielo di metallo. O il ghiaccio del Monte Rosa che svetta sullo sfondo e che, a discapito delle infinite lagnanze sullo scalo aereo milanese, ne fa uno degli aeroporti più pittoreschi al mondo.
Ore 10:30. Presentiamo il progetto di riconversione del sito di Expo, insieme agli sviluppatori australiani di Lendlease e a tutto il team di progetto. Arrivo a Cascina Triulza in automobile, percorrendo il vecchio Decu- mano ormai deserto. Che differenza con le migliaia di persone che lo percorrevano a piedi avanti e indietro durante l’Esposizione Universale del 2015! Il sito sembra spolpato, la maggior parte dei padiglioni sono stati smantellati. «Mes villes naissaient de rencontres», le mie città nascono dagli incontri, fa dire Marguerite Yourcenar all’imperatore Adriano. Incontri tra le persone che le abitano ma anche tra noi e la natura. Oggi sopra il Decumano restano piloni e cavi: domani abbiamo immaginato di creare un parco lineare di un chilometro e mezzo, uno
«Forse Boston non sarà più la capitale culturale d’America, come era stata definita a metà ’800 ma le sue università continuano ad avere un forte potere di attrazione globale»
dei più lunghi d’Europa. Gli alberi che riconquistano l’asfalto: un’idea per le città di domani? Sul Decumano si affacceranno centri di ricerca, università, uffici, spazi di co-working: una città di quell’innovazione sempre più motore urbano, dal Silicon Roundabout di Londra alla Silicon Alley di New York. In sala a Cascina Triulza c’è una bella atmosfera. Continua l’onda lunga dell’orgoglio cittadino dopo l’Expo, e le diverse amministrazioni – comunali, regionali, nazionali – cooperano tra di loro. Lo fanno notare Roberto Maroni e il ministro Martina. Rivedo gente che conosco. Ore 13:30. Partenza per Hyderabad in India, via Dubai. Volo con Emirates. Servizio perfetto, ma folate di cattivo gusto: in cabina un tripudio di plastiche finto-oro e finta-radica.
HYDERABAD, MERCOLEDÌ 29 NOVEMBRE Ore 9:00. Hyderabad. È la terza (o la quarta?) volta che torno in pochi anni. Nel cuore dell’India è ancora estate: 29 gradi, mitigati da un ponentino. Il nuovissimo aeroporto di Hyderabad è addobbato per il Global Enterpreneurship Summit, cui partecipano il Primo Mi-
nistro indiano Narendra Modi e Ivanka Trump, in una delle sue prime uscite ufficiali. Sono qui per lo stesso motivo: il Dipartimento di Stato USA mi ha chiesto di moderare una sessione sul futuro delle città. Seguo divertito Abhishek, il giovane studente-volontario cui è stato dato ordine di accompagnarmi dappertutto e che prende questo compito molto sul serio. L’India si riconosce dagli odori. Quelli delle spezie che impregnano l’aria, e forse quelli prodotti dallo speciale microbioma che avvolge ogni forma di vita. Sai di essere atterrato a occhi chiusi, purché tu tenga le narici aperte. O le orec- chie: il rumore della città indiane è unico al mondo. Il traffico che avanza a scatti tra un colpo di clacson e l’altro, e poi fruscii, battiti, schiocchi metallici. Al Forum si parla di innovazione in tutte le sue forme. Sul palco ora c’è Deepak Garg, ex consulente McKinsey a capo di una startup. Tramite una App permette a ogni camionista di trovare colleghi sulla rotta, in modo da darsi il cambio e riuscire a tornare a casa alla sera. Un progresso non da poco: in India un camionista trascorre in media 25 giorni al mese lontano dalla propria famiglia, in condizioni tanto degradanti da aver fatto guadagnare alla profes-
sione l’etichetta di “trentasettesima casta”. Caste e App: solo in India Medioevo e 21esimo secolo coesistono nella stessa città, se non anche nella stessa persona.
Ore 20:00 In macchina verso l’aeroporto. C’è qualcosa di diverso, in India, rispetto a quello che sta succedendo in altre parti del mondo. Una crescita economica a rotta di collo non ha ancora omologato le grandi città indiane alle altre capitali d’oriente e d’occidente. E per fortuna. A differenza della Cina, che ha l’abitudine di radere al suolo e riparte da zero (come nel rito di pas- saggio tra una dinastia e l’altra), l’India procede per accumulazione: un’anziana signora che non dismette mai nulla dal proprio guardaroba.
IN VOLO VERSO NEW YORK, MERCOLEDÌ 29 NOVEMBRE Ore 22:00. È una sera fortunata: la compagnia aerea mi spara nella classe superiore (prima classe!). Per le prossime 22 ore sarò in una suite di un metro per due, con un tavolo per continuare a scrivere. Schiaccio un pulsante ed emerge un frigo-bar. Ne schiaccio un altro e spunta un beauty kit dorato. Ne schiaccio un terzo e arriva la hostess per preparare la doccia. L’esperienza non è troppo diversa da quella di un campeggio: un flebile getto d’acqua, appena tiepido, che si interrompe dopo pochi minuti. Ma tutti sembrano estasiati all’idea di lavarsi tra le nuvole a 10.000 metri quota. Di solito non ho problemi ad addormentarmi in volo, senza pasticche o melatonina: mi piace farmi cullare dal rullio della cabina. Ma questa volta non è stato semplice. Forse colpa del pigiama sintetico di Emirates, che sembra emettere le scintille appena mi rivolto nel letto.
Ore 7:00 del giorno successivo. Dall’oblò si inizia a intravedere il profilo seghettato di Manhattan. Ventidue ore sono passate in fretta: un metro per due evidentemente bastano, come spazio vitale. Manhattan è sempre un ritorno a casa. Sarà la sua intensità di vita, quel “dolce umano vortice” descritto da Mario Soldati in America primo amore.
NEW YORK, GIOVEDÌ 30 NOVEMBRE Ore 9:00. Nonostante i cambi di fuso non mi sento stanco. Il modo migliore per sconfiggere il jet lag è correre più in fretta di lui: mai farsi acchiappare. Fuori è di nuovo autunno. Riunione con il team newyorchese della Carlo Ratti Associati nei nuovi uffici di Fifth Avenue e poi di corsa al Rockefeller Center. Ieri il rito annuale dell’accensione dell’albero di Natale: un po’ di verde tra il calcestruzzo della Quinta Strada. Alla base la pista di pattinaggio su ghiaccio che regala l’illusione dei laghetti del Maine. Voglia di natura e città. «Il perenne richiamo della nostra biophilia», direbbe il mio collega di Harvard E. O. Wilson.
«Presentiamo il progetto di riconversione del sito di Expo. Arrivo a Cascina Triulza in automobile, percorrendo il vecchio Decumano ormai deserto. Che differenza con le migliaia di persone che lo percorrevano a piedi»
Ore 17:00. A Cornell Tech, la nuova università voluta da Mike Bloomberg su Roosevelt Island, appena aperta. L’idea dell’ex sindaco era di far nascere, su questa sottile striscia di terra nel mezzo dell’East River, un’università che si occupasse di città e delle trasformazioni al confine tra mondo fisico e digitale. La competizione lanciata nel 2010 è stata vinta dalla Cornell University insieme a Technion, l’istituto israeliano di tecnologia. Questa sera c’è un incontro organizzato dall’Harvard Club. Parliamo di intelligenza artificiale e automobili che si guidano da sole. Alla fine della presentazione parte un dibattito vivace: un gruppo di ragazzi si infiamma mentre immagina riforme sociali profonde, in un mondo ormai prossimo dominato dalle macchine e dai robot.
Ore 20:00: Guardo le luci dell’isola di Manhattan da quest’altra isola. Il ponte di Queensboro incombe su una panchina: la scena di un film di Woody Allen ancora da girare?
RIO DE JANEIRO, VENERDÌ 1 DICEMBRE Ore 10:00. Dall’oblò si inizia a intravedere il profilo della Cidade Meravilhosa. Tutto è imbevuto di sensualità: non solo le colline sinuose, ma anche le strade, i sambodromi, le spiagge che cingono Rio come un girocollo. Persino l’architettura novecentesca del Movimento Moderno, che in tutto il mondo ci ha consegnato edifici sterili e spigolosi, si è incarnata nel tripudio di curve di Oscar Niemeyer. Le stesse curve che, come scriveva lui, «troviamo nelle montagne, nelle onde del mare, nel corpo della donna che amiamo». Ho passato molto tempo a Rio de Janeiro prima delle Olimpiadi del 2016. Eravamo in lizza per un grande progetto a Lagoa, alla fine non realizzato a causa della cri-
si. È sempre un piacere tornare qui per lavoro, questa volta per qualche riunione e un incontro organizzato da Wired.
Ore 18:00. Niente di meglio di una passeggiata al tramonto sulla spiaggia di Ipanema in questa giornata di tarda primavera. Da un lato l’oceano che batte forte sulla sabbia, dall’altro le facciate di marmo dell’aristocrazia locale, con appartamenti che, prima della crisi, superavano i prezzi di New York o Hong Kong. In fondo la favela di Vidigal, abbarbicata sui pendii dei Dois Irmãos, I Due Fratelli. La società brasiliana è ancora molto segregata. A San Paolo i ricchi possono vivere sui tetti, saltellando in elicottero da un grattacielo all’altro, senza mai scendere a terra. Ma la fortuna di Rio sono le spiagge, che ricompongono almeno temporaneamente le fratture sociali: Botafogo, Copacabana, Ipanema e poi giù a sud fino a Barra da Tijuca, il quartiere residenziale della classe media, una specie di Miami subtropicale. La spiaggia è lo spazio di interazione tra varie classi sociali, dove si incontrano persone di ogni estrazione. Come in una piazza italiana si mette da parte la diffidenza, si chiacchiera, si gioca e ci si conosce (anche biblicamente…). È questa la funzione civilizzatrice e primordiale della città: creare uno spazio di incontro .
Ore 9:00 del giorno successivo. La zona del porto, fino all’anno scorso tagliata da una sopraelevata a quattro corsie, simile a quella di Genova. In occasione delle Olimpiadi 2016 è stata fatta saltare in aria, donando nuovi spazi pubblici alla città. La vasta piazza Mauá, circondata da musei oggi è il baricentro non soltanto geografico ma anche ideale della metropoli, grazie all’i-