Corriere della Sera - Sette

I “film delle feste”? Anche quest’anno mi hanno steso

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IL PIÙ GRANDE DI TUTTI, Ennio Flaiano, ha scritto che «un Natale passato tutto a Roma può uccidere un bue» (è impossibil­e non domandarsi cosa direbbe oggi della sua città, anche perché continuava così: «Non si va al centro, perché tutti ci vanno. A Capodanno, sulla sporcizia, i romani ne buttano altra dalle finestre, per festeggiar­e l’anno nuovo»). Più modestamen­te, è inevitabil­e osservare come possa uccidere un bue anche un Natale passato tutto davanti alla tv. Io non sopporto le festività natalizie, resto perplesso davanti alla retorica bolsa dell’essere più buoni in una festa sulla carta religiosa che di religioso non ha sinceramen­te nulla, e Babbo Natale che non sarà stato inventato (è una teoria cospirator­ia / leggenda metropolit­ana) dalla CocaCola per una campagna pubblicita­ria negli anni Trenta ma comunque mi lascia indifferen­te. La finta allegria stagionale mi mette – mi ha sempre messo, fin dalla prima adolescenz­a – una tristezza incommensu­rabile (con un’eccezione, gli alberi di Natale: quelli mi piacciono). Non mi piace granché neanche la tv: per questo il cocktail Natale-tv mi atterrisce. Scatta poi durante le feste, per farmi basire ancora di più, una massiccia programmaz­ione di film cosiddetti “di Natale”. Detti “di Natale” non tanto perché come Miracolo nella 34esima strada (per esempio) sono ambientati a Natale ma perché da anni la tv li trasmette regolarmen­te

C’ERA UNA VOLTA E.T...

Anche quest’anno il film di Steven Spielberg (datato 1982) è stato tra quelli trasmessi nei giorni delle feste. Un classico come

e tanti altri proprio tra il 23 e il 26 dicembre. Ecco allora quest’anno, a pioggia, I soliti ignoti, Mr. Bean, E.T., Il dottor Zivago, Frozen (controprog­rammato, la sera della vigilia, da Rai2, quando su Rai1 c’era la Messa del papa), Natale in casa Cupiello, Una poltrona per due, Assassinio sull’Orient Express (quello vintage non il remake), Big Hero 6, 7 spose per 7 fratelli, Il ciclone. Alcuni sono capolavori assoluti (Monicelli, Spielberg), altri successoni inossidabi­li, altri ancora cartoni animati di successo sicuro con i bambini.

ECCO COSÌ CHE IL POPOLO italiano (almeno quello che non ha le paytv) e non è granché connesso a internet, si sintonizza per mancanza d’alternativ­e sui “film di Natale” alla tv, determinan­done il successo e condannand­o se stesso a rivederli l’anno successivo, in un cupio dissolvi raffinato. Tramortito dal cenone, l’italiano medio guarda con un occhio il film già visto l’anno prima, mentre con l’altro controlla i messaggini o peggio ancora i letali gruppi WhatsApp sui quali arriva di tutto (video di orsetti, cani, gatti, topolini, cavie, conigli, salamandre, tutti truccati da Babbo Natale).

IL DÉJÀ VU È RASSICURAN­TE – le sorprese inquietano – e il sogno di una moratoria, l’anno prossimo, è un sogno impossibil­e se perfino Netflix, che dovrebbe essere il trionfo dell’autogestio­ne dello spettatore e il tramonto di quella che i massmediol­ogi hanno chiamato “audience prigionier­a”, organizza playlist su misura per le feste. Il comico americano Lewis Black, famoso per il mood iracondo che ne caratteriz­za le filippiche, ha in questi casi una battuta fulminante: «Quando mi chiedono cosa faccio a Natale, rispondo che a Natale faccio l’ebreo» (perfino lui, non praticante, finisce per riscoprire la fede israelita il 25 dicembre tale è l’orrore per “il giorno più bello dell’anno”). Qualche rete televisiva dovrebbe avere la presenza di spirito di commission­argli uno speciale natalizio per il 2018. Io lo guarderei.

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