Per l’Unione europea l’esercito comune è una priorità?
«L’Ue ricorda l’Italia del 1848 frammentata in piccoli staterelli: senza una maggiore integrazione, che parte anche dalla difesa, resteremo irrilevanti», sottolinea il generale. «Non è la strada giusta, meglio potenziare la cooperazione modello Nato», rib
Sì Vincenzo Camporini
L’EUROPA è un grande continente con straordinario potenziale diviso in tanti piccoli staterelli, Germania compresa. La situazione non è così diversa da quella dell’Italia frammentata nel 1848: allora le decisioni importanti venivano prese a Vienna, Parigi, Londra, oggi a Pechino e a Washington. Se vogliamo riappropriarci dei nostri destini, la maggiore integrazione è l’unica via. Le strutture della Difesa sono un pilastro fondamentale. Nel 1999 sono stato uno dei coautori dell’ Helsinki Headline Goal, che aveva come scopo proprio quello di dotare la Ue di uno strumento militare condiviso: l’obiettivo ideale. A livello pratico siamo però lontani: le forze militari non sono fini a se stesse, ma rappresentano un mezzo della politica estera e pertanto solo nel momento in cui si persegue questo aspetto, ha senso procedere in direzione dell’esercito comune; purtroppo non stiamo facendo grandi passi avanti. Si può comunque rendere più efficace la spesa e le strategie: in Europa abbiamo 17 mezzi blindati diversi, ciascuno prodotto in poche decine di unità, negli Usa uno solo in migliaia… In positivo c’è da dire che l’Ue ha deciso di finanziare ricerca e sviluppo di programmi di Difesa in comune. Poi c’è il Pesco, il documento di Cooperazione Strutturata Permanente, che però era stato pensato per un piccolo gruppo di Paesi, e prevede che le decisioni siano prese all’unanimità: ora, in 25, farlo funzionare sarà difficile.
No Sophia Besch
PENSO CHE ISTITUIRE un esercito europeo, nel senso di immaginare uno scenario in cui i vari Paesi rinunciano al controllo sui propri soldati, non sia utile e sia molto distante da quella che è la realtà attuale dell’Ue. A mio parere l’integrazione delle forze armate non è la strada giusta da perseguire. Ciò che invece si dovrebbe fare è lavorare a una maggiore cooperazione, sul modello di quello che avviene in altre organizzazioni come la Nato. È importante che i Paesi europei investano in capacità militare condivisa, nello sviluppo di sistemi difensivi o armi, in operazioni congiunte, nel lavorare insieme. D’altra parte questa è anche la strada tracciata dal nuovo documento, detto Pesco, che si occupa di Cooperazione Strutturata Permanente in materia di Difesa: pure i governi che hanno sostenuto la necessità di un maggiore impegno europeo, come la Germania, non hanno mai pensato di rinunciare alla sovranità sui propri uomini. Anche se gli Stati dell’Ue fossero disponibili a delegarle maggiori poteri, non penso che sarebbe una buona idea, perché non è quello che la gran parte dei cittadini vuole: lo abbiamo visto con la Brexit e non soltanto. L’Europa non deve realizzare i sogni di pochi federalisti, ma soddisfare le esigenze dei molti che non lo sono. Persino ipotizzare un esercito comune può essere controproducente, perché rischia di spaventare i suoi popoli.
Vincenzo Camporini, 71 anni, generale. È stato Capo di Stato Maggiore della Difesa, attualmente è vicepresidente dell’Istituto di Affari Internazionali di Roma. Sophia Besch, 27 anni, è ricercatrice al Centre for European Reform che ha sede a Londra