Alla tv serve un nuovo ritmo, seguendo i passi di Bolle
CHI SALVERÀ LA TELEVISIONE italiana da una lenta e sicura estinzione? La cultura. È una conclusione ovvia, che si trae analizzando numeri che non lasciano scampo: l’anno scorso l’audience complessiva, gli italiani cioè davanti al televisore, è calata. Nel giorno medio -2%, in prima serata, l’ambìto “prime time” un tempo sacro a -3%. Ogni giorno, in media, meno di 10 milioni di italiani hanno guardato la tv (9,8 milioni per l’esattezza). Sotto i dieci milioni, gli esperti hanno cominciato a preoccuparsi – la vignetta di qualche mese fa sul New Yorker, con un bambino piccolo seduto davanti a una grande tv spenta che guarda, ipnotizzato, il display di uno smartphone non era neanche una vignetta, era un editoriale e una profezia. Il pubblico è in calo, i mezzi con i quali l’audience del futuro guarda i mitici “contenuti” è cambiato e cambierà ancora. La via d’uscita? Trasmettere più reality tv o programmi di cucina sarebbe impossibile. Abbassare ancora il tiro? No, quello che impressiona è che nel Paese-laboratorio dell’imbarbarimento televisivo, l’Italia, quando si scommette sulla cultura – sulla qualità – milioni di persone rispondono, felici. Era andata oltre ogni previsione, il 7 dicembre, la prima della Scala in diretta – anche se Andrea Chenier non è la Bohème o Don Giovanni, e anche se la regia dell’opera era alquanto statica. E il 1° gennaio? 4.860.000 italiani, share al 21,53 %, hanno guardato Roberto Bolle, il più grande ballerino classico del mondo che ha fatto negli ultimi anni per la danza quello che Luciano Pavarotti riuscì a fare con l’opera – l’ha resa popolare, l’ha trasformata in un argomento del quale si discute al bar la mattina dopo, che si posta su Twitter. Nessuna persona sana di mente si lamenterebbe del canone Rai se la qualità non dico media ma almeno occasionale del servizio pubblico fosse quella di Danza con me, che la sera del 1° gennaio ha aperto su Rai1 il 2018 con uno spettacolo di assoluto valore mondiale. Roberto Bolle e i suoi amici – Sting, Tiziano Ferro, Fabri Fibra, Virginia Raffaele, Pif – hanno regalato una serata speciale, medaglia al valore – per una volta – da appuntare sulla gloriosa e malconcia divisa della Rai.
BOLLE CI HA FATTO VEDERE di che pasta è fatto – non parliamo per una volta della muscolatura marmorea, ma della sua sensibilità: ha portato nelle case degli italiani il ballerino siriano Ahmad sfuggito alla guerra e alla barbarie dell’Isis, nato in un campo profughi e cresciuto con il sogno impossibile della danza (diciamo grazie a Sting, uno che artisticamente ha tante cose da farsi perdonare negli ultimi trent’anni, per averli accompagnati con la sua Inshallah). Bolle ha scherzato con Virginia Raffaele nella pazza coreografia di Ryan Heffington resa famosa nel mondo dallo spot Kenzo di Spike Jonze. E, verso la fine dello spettacolo, Bolle ci ha portato – con intelligenza Fabri Fibra ci ha ricordato come l’arte può nascere nelle accademie ma può anche nascere sulla strada – un artista meraviglioso, per palati raffinati. L’americano Lil Buck per il quale la gravità non esiste, un Puck scespiriano, il giovane maestro del jookin, la magica danza di strada di Memphis, Tennessee.