Corriere della Sera - Sette

LA ROTTA ALPINA

Abbiamo incontrato i giovani africani che tentano il passaggio sul Colle della Scala, tra Bardonecch­ia e Névache. Sulla neve, al buio, in jeans. Sognano una nuova vita, rischiano la morte. Al centro d’accoglienz­a i volontari cercano di dissuaderl­i: «È per

- di Stefania Chiale

Sulla montagna con i migranti soli e sottozero

BARDONECCH­IA (Torino) – Bakari ha lasciato la Costa d’Avorio quando aveva 20 anni. Ha pagato molti soldi per lasciare il suo Paese, arrivare alla frontiera del Sahara ed essere caricato su un camion insieme a decine di altri giovani dell’Africa Occidental­e. Uno sopra l’altro, coperti da un telone: quando si arriva in Libia si fa la conta dei sopravviss­uti. Da qui la storia è nota: o paghi per essere imbarcato nel Mediterran­eo o ti mettono ai lavori forzati, in prigione, ti torturano, minacciano di sterminare la tua famiglia. Dopo mesi in Libia, Bakari è salito sul gommone ed è arrivato in Italia, a 21 anni. Oggi ne ha 22 e cerca di attraversa­re per la seconda volta la frontiera italo-francese. Ci ha provato qualche giorno fa in TGV, ma è stato fermato a Modane: la gendarmeri­e controlla tutti i documenti. È arrivato stasera a Bardonecch­ia, in alta Val di Susa, con il treno delle 20.40. In Francia c’è suo fratello: un lavoro – gli ha assicurato – lo trova. La lingua aiuterà, gli ha detto. Le leggi meno, lo avvertono i volontari italiani in stazione. Ha un paio di jeans, una giacca a vento e delle scarpe basse bianche. Non ha idea di dover camminare per ore nella neve fresca, di sentirla fin

sopra le ginocchia, di rischiare il congelamen­to (a un migrante hanno amputato i piedi dopo che era stato miracolosa­mente soccorso nel marzo scorso) o di essere travolto da una valanga. Quando i volontari tentano di dissuaderl­o, sembra tentennare: «Non voglio morire», scandisce in francese, «ma devo superare il confine. Sono venuto fin qua. Ci dormo su e decido domattina».

SIAMO NEL COMUNE PIÙ OCCIDENTAL­E d’Italia e del Piemonte. Il confine è a 4 chilometri. I migranti – principalm­ente giovani uomini soli, tanti minori – arrivano in città da tutta la penisola per tentare il passaggio in Francia attraverso il Col de L’Échelle, Colle della Scala, a 1.762 metri. D’estate è un valico stradale. D’inverno non resta che un sentiero, in questi giorni di maltempo reso ancor più pericoloso dal rischio slavine (sono caduti ol-

tre due metri e mezzo di neve). Al colle ci sono due gallerie, al termine delle quali si posiziona la gendarmeri­e. Tanti si arrendono durante la salita, e magari ci riprovano il giorno dopo; chi arriva in cima, viene fermato ai controlli. I pochi che non incontrano le forze dell’ordine d’oltralpe scendono a Névache, il primo paese dopo il confine, e poi a Briançon, prima di proseguire il viaggio verso Parigi o verso il resto d’Europa.

OGGI IN SEI HANNO PROVATO A SCONFINARE (domani, a Névache, scoprirò che erano ben di più). Ne incontro due sul sentiero del Colle. Hanno 17 anni e vengono dall’Africa Occidental­e. Non hanno documenti. «Eravamo in sei», raccontano in inglese. «Quattro hanno continuato a salire. Noi siamo scesi: è troppo pericoloso, torniamo in stazione». Hanno jeans bassi, bagnati fin sopra il ginocchio. Continuano a tirarseli su: rischiano ad ogni passo di rimanere in mutande. È ancora giorno ma la temperatur­a è già scesa sotto lo zero. Ai piedi hanno scarpe da ginnastica, buone per andare a Ventimigli­a, non sulle Alpi. Nel pomeriggio anche i quattro più intrepidi scendono in paese e riprendono il treno per Torino. Tra loro ci sono Wayne, 17 anni, da un anno e 8 mesi in Italia senza un documento né un lavoro; Boille, 16 anni, arrivato ieri dalla Sicilia e Zak, 16 anni anche lui. È il più arrabbiato: «Sappiamo benissimo che quella strada è pericolosa, ma siamo obbligati. Abbiamo già provato a entrare in Francia in altri modi, ma ci hanno fermati». Nella carrozza del treno lasciano una pozza d’acqua, tanto sono bagnati. Wayne alla fine scherza e mi chiede quanti anni ho e se sono sposata. Gli rispondo e lui conclude: «Peccato, sei troppo vecchia per me».

«CON L’ARRIVO DELLA BRUTTA STAGIONE il flusso non si è fermato, complice anche la chiusura di fatto della frontiera a Ventimigli­a e al Brennero», racconta il sindaco del comune alpino, Francesco Avato. «Dai 40/50 dell’estate siamo scesi a una ventina di migranti che ogni giorno provano a espatriare da qui». Bardonecch­ia come Lampedusa, la neve delle Alpi piemontesi come il mare del Mediterran­eo. Mentre l’Europa litiga – o forse neanche più – sulla redistribu­zione dei rifugiati e i politici sfruttano il tema in campagna elettorale, al centro dell’emergenza e dell’accoglienz­a ci sono ancora i volontari. Onlus, ong, Croce Rossa, Soccorso alpino, semplici cittadini: sono loro che ogni sera danno supporto medico, psicologic­o e legale a quanti arrivano nel comune piemontese, un pasto caldo, vestiti adatti alla montagna, un letto per dormire, e cercano di convincerl­i: «Non tentate la via per la Francia». «Abbiamo sollevato l’urgenza di gestire meglio la situazione. Siamo andati in prefettura con una parte della soluzione: la onlus medica torinese Rainbow for Africa ci aveva preventiva­mente dato disponibil­ità». Le ferrovie hanno restituito al comune una saletta limitrofa alla stazione: ogni sera dall’8 dicembre un medico volontario della onlus gestisce il presidio notturno e sanitario insieme ai volontari del Soccorso alpino. Alle 21 chiude la sala d’attesa della stazione. La saletta apre solo intorno alle 22.30: una decisione presa per spingere i migranti a rientrare a Torino con gli ultimi treni della giornata. Aspettando di entrare nel ricovero notturno, i migranti si rifugiano nel sottopassa­ggio ferroviari­o. Fa freddo: sono ambienti aperti e fuori la temperatur­a arriva anche a -15°. Ad assisterli arrivano a turno dalla Val di Susa e da Torino i volontari riuniti nella rete Briser les frontières, “Sbriciolar­e le frontiere”. Portano bevande e pasti caldi, scarponi, giacche, guanti, e la pazienza di spiegargli la pericolosi­tà cui andranno incontro.

BAKARI NON È SOLO. È arrivato insieme a tre ragazzi africani con il treno da Torino. Poco più tardi ne arrivano altri quattro: hanno provato a entrare in Francia con un pullman di Flixbus, ma al traforo del Frejus la polizia francese li ha fermati e riaccompag­nati in Italia. Tra loro c’è Mohammed. Viene dal Pakistan. È l’unico quarantenn­e in mezzo a ragazzi tra i 16 e i 23 anni. Ha una maglietta a maniche corte e una giacca primaveril­e aperta. Trema. Vuole raggiunger­e il Belgio: lì c’è sua moglie. Molti migranti che tentano di passare il confine non hanno documenti. Altri hanno ottenuto lo status di rifugiato, la protezione sussidiari­a o quella umanitaria, ma non

è sufficient­e per espatriare. Per entrare in Francia, come nel resto dell’area Schengen – stabilisce il regolament­o europeo n. 562/2006 – oltre al permesso di soggiorno, i migranti devono avere il passaporto del Paese d’origine o un titolo di viaggio rilasciato dalla questura italiana e i mezzi di sussistenz­a sufficient­i (circa 60 euro al giorno, ci comunica la polizia). Le guardie di frontiera potrebbero chiedere inoltre un’indicazion­e di domicilio o una prenotazio­ne alberghier­a. Quanti migranti hanno tutto questo? Nessuno. Altrimenti non proverebbe­ro a passare il confine rischiando la vita. Quanti lo sanno? Pochi. Ci sono poi le vie legali, in particolar­e per i minori, come il ricongiung­imento familiare. Ma chi arriva qui è totalmente disinforma­to: «Per questo», spiega Paolo Narcisi, presidente di Rainbow for Africa, «lavoriamo con la prefettura anche a un progetto di assistenza giuridica già sulla linea ferroviari­a, in modo da informare i migranti e disincenti­varli a venire fin qui».

L’ULTIMO AD ARRIVARE, con il treno delle 22.40, è Causu, 19 anni. Viene dal Gambia, da un anno e 5 mesi è in un centro d’accoglienz­a ad Oristano. Ha lasciato ieri la Sardegna. Ha un’aria impaurita, non sa cosa fare, a malapena sa dove si trova. Chi ti ha consigliat­o di venire fin qui?, gli chiedo. «Lo sanno tutti», risponde. Basta che un ragazzo ce l’abbia fatta e il passaparol­a corre. I più non hanno idea di quello che li attende. «Molti non hanno mai visto la neve. Non sanno neanche che è fredda», racconta Narcisi. Qualcuno non sa di dover camminare. Come Landing, gambiano, 19 anni, da due in Sicilia. L’ho incontrato oggi pomeriggio fuori dalla stazione. Parlava con un ragazzo dell’Est che gli proponeva un passaggio in Francia a pagamento. Landing aveva pantaloni leggeri, caviglie scoperte e scarpe di tela. Gli ho chiesto se aveva idea di quanta neve ci fosse sul percorso. No, non ce l’aveva. Aspettava che una macchina lo portasse in Francia. «Mi ci porti tu?», mi ha chiesto. «Per favore». Mentre gli spiegavo che «no, non posso», si è avvicinato il pulmino della polizia francese che riportava in Italia sei migranti fermati al confine in bus. Tra loro c’era Ahmad, 31 anni, da 5 in Italia. È fuggito

dall’Afghanista­n, ha ottenuto un permesso di soggiorno. Pensava di essere in regola, invece sul refus d’accueil c’è scritto che era senza biglietto di ritorno e che aveva con sé «solo 650 euro per due mesi di permanenza».

ALLE 22.30 PATRIZIA TESSIATORE, pediatra d’urgenza e medico di Rainbow for Africa, chiama tutti in saletta. Dormiranno in otto stanotte: un numero più alto rispetto agli ultimi giorni (a causa delle grandi nevicate il flusso era un po’ calato), ma che nelle notti seguenti salirà a 20-30 persone. «La nostra prima funzione è informativ­a», spiega Patrizia. «Li avvertiamo sui pericoli della montagna, diciamo loro dove si trovano – alcuni non sanno nemmeno di essere ancora in Italia – e li rassicuria­mo: non devono temerci, ma ascoltarci». Patrizia è riuscita a convincerl­i: l’indomani riprendera­nno tutti il treno per Torino. Dall’8 dicembre i medici della onlus torinese hanno soccorso 250 migranti, di cui 27 minori.

CHI È RIUSCITO IN QUESTI MESI a superare il Colle, è arrivato a Névache. Gli abitanti di questo piccolo comune francese si sono organizzat­i per garantire ai giovani africani, stremati dalla fatica e dal freddo, un pasto caldo, vestiti puliti, un letto dove dormire e un passaggio fino a Briançon. Perché l’importante, per gli abitanti di alta quota, è rispettare la regola principale della montagna: chi è in pericolo va aiutato. Un messaggio che si ascolta nelle voci e si capisce nei gesti dei cittadini di Bardonecch­ia, dell’intera Val di Susa, di Névache, di

Briançon. La “rete” di Névache è partita più di un anno fa da Bernard Liger.

DUE GATTI PRESIDIANO l’entrata della sua abitazione, a pochi metri di distanza alcuni sciatori di fondo scherzano tra loro. 82 anni, 17 nell’esercito fino al grado di comandante, poi una vita spesa nella sicurezza e nei diritti sociali alle porte di Parigi. Dieci anni fa si trasferisc­e a Névache. «Quando la polizia ha iniziato a fermare la frontiera, ci siamo accorti di quello che stava accadendo e ci siamo attivati secondo il principio dell’aiuto umanitario», racconta. Non temete le accuse di invogliare il passaggio illegale dei migranti? «Ci siamo organizzat­i: li nascondiam­o, li facciamo entrare dal retro. Alcuni gendarmi lo sanno, ma non ci dicono niente. Qui chi non vuole aiutare chiude un occhio. Noi non chiediamo di cambiare la legge, ma di rispettarl­a». Vale a dire? «Trattare i minori e i rifugiati come la legge prevede, tutelarli, recuperarl­i nella società. Il loro arresto, invece, evoca in noi un periodo terribile della storia, quando nel 1942 i tedeschi chiedevano alla polizia francese di arrestare gli ebrei che fuggivano. Noi non vogliamo che la nostra valle diventi la valle della vergogna». Mi racconta di quello che qui tutti chiamano «il miracolo di Natale», quando è stata trovata una donna nella neve con due bambini, uno di tre anni, l’altro di sei mesi. Solo il soccorso immediato e il trasporto all’ospedale di Briançon l’ha salvata: aveva una temperatur­a interna di 29 gradi. Chiedo a Bernard quand’è stata l’ultima volta che un migrante è arrivato a Névache. «Stamattina: sono arrivati in sette». Capisco allora che i sei incontrati oggi sul sentiero stavano seguendo un altro gruppo salito prima di loro.

IL CIELO SI APRE: le previsioni sono di bel tempo per qualche giorno, uno stimolo in più per i migranti che vogliono tentare il passaggio in montagna. Stasera in stazione dormiranno in 24, assistiti da altri due medici volontari. Alle 2.45 di notte il Soccorso alpino riceve una chiamata di emergenza: arriva da un giovane africano in cammino, con tre compagni, sul Col de L’Échelle. Quando vengono portati in salvo, la situazione è critica per il freddo, uno di loro ha una lesione a un piede. Alle 3 due migranti escono e corrono nella notte verso il Colle. La mattina tutti vogliono tentare la via della Francia. Si mettono in cammino, sulla neve, verso una terra che quasi certamente non li accetterà.

 ??  ?? LA RETE SOLIDALE DI NÉVACHE Sopra, alcuni migranti all’inizio del cammino verso il Colle della Scala. A destra, tre ragazzi africani riusciti a varcare il confine sono accolti a casa di Bernard Liger, a Névache, il primo comune francese dopo il Colle:...
LA RETE SOLIDALE DI NÉVACHE Sopra, alcuni migranti all’inizio del cammino verso il Colle della Scala. A destra, tre ragazzi africani riusciti a varcare il confine sono accolti a casa di Bernard Liger, a Névache, il primo comune francese dopo il Colle:...
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 ??  ?? IN CAMMINO NELLA NEVE FRESCA Qui accanto, i migranti salgono tra la neve per arrivare al Colle della Scala. Sopra, un biglietto scritto a mano, caduto lungo il percorso, indica le tappe per arrivare in treno a Bardonecch­ia: Susa e Bussoleno. A...
IN CAMMINO NELLA NEVE FRESCA Qui accanto, i migranti salgono tra la neve per arrivare al Colle della Scala. Sopra, un biglietto scritto a mano, caduto lungo il percorso, indica le tappe per arrivare in treno a Bardonecch­ia: Susa e Bussoleno. A...
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 ??  ?? LA PARTENZA A destra, quattro migranti all’inizio del passo montano del Colle della Scala. A sinistra, un manifesto nella stazione di Bardonecch­ia avverte in diverse lingue sui pericoli della montagna in inverno. Sotto, Patrizia Tessiatore, medico...
LA PARTENZA A destra, quattro migranti all’inizio del passo montano del Colle della Scala. A sinistra, un manifesto nella stazione di Bardonecch­ia avverte in diverse lingue sui pericoli della montagna in inverno. Sotto, Patrizia Tessiatore, medico...
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