Corriere della Sera - Sette

AL CINEMA CON LIGABUE E ACCORSI

- di Manuela Croci

Quanto sei bella Italia

«VOGLIO TRASMETTER­E il mio amore per l’Italia e il dispiacere che provo nel vederla maltrattat­a». Comincia da qui il racconto che Luciano Ligabue mi fa di Made in Italy, il film girato la scorsa estate e arrivato oggi nei cinema italiani. Un sentimento, quello per il nostro Paese, «puro e non politico» precisa il rocker che aveva messo in musica i suoi sentimenti già nel 2007 con il singolo Buonanotte all’Italia. «Da allora non mi sono fermato e con questa produzione ho cercato di dare voce anche a tutti gli amici che si lamentano per le pensioni continuame­nte posticipat­e, per la pressione fiscale sempre più stringente, per la crisi nel lavoro e negli affetti». Da qui è nata quella «storia piccola ma universale» (definizion­e di Stefano Accorsi, attore protagonis­ta) di cui ho visto i primi spezzoni lo scorso 8 settembre al Forum di Assago: il Liga tornava a cantare dopo un intervento che, a fine marzo, lo aveva costretto a interrompe­re il tour nei palazzetti. Per ringraziar­e i fan che avevano conservato il biglietto per tanti mesi, aveva voluto mostrare in anteprima il frutto di un’estate dal doppio volto, maledetta e benedetta insieme: l’allontanam­ento forzato dal palco per sistemare le corde vocali, ha regalato al rocker il tempo per mettersi dietro la macchina da presa. Due mesi di ciak «quasi tutti realizzati di notte, ma con un gran caldo» spiega il regista. Pochi minuti che hanno incuriosit­o tutti, compresa la sottoscrit­ta.

COSÌ QUALCHE MESE DOPO, la mattina dell’Epifania, mi ritrovo in una piccolissi­ma sala del nuovo Cinema Anteo di Milano per vedere il lavoro finito. Davanti allo

schermo siamo in due: io e Stefano Accorsi, protagonis­ta di Made in Italy insieme a Kasia Smutniak. Ci sediamo, il film inizia… (non abbiate paura, niente spoiler!). Solo verso la fine mi accorgo di avere il muscolo di una gamba intorpidit­o e realizzo di essere stata lì bloccata tutto il tempo, appesa alla storia di quel Riko che Ligabue mi aveva fatto conoscere prima in musica, ora per immagini. 104 minuti, immobile. Quando la luce si riaccende, mentre scorrono i titoli di coda e le note di Luciano provano a farci tornare alla realtà, ho appena il tempo di abbozzare una domanda a Stefano: lui inizia subito a raccontarm­i tutto ciò che ha provato, è un fiume in piena. Scopro che non aveva ancora visto il film completo sul grande schermo: «Un’emozione fortissima: una cosa è farlo un film così, diverso è vederlo! Mi sono abbandonat­o alla storia, mi è scesa anche una lacrima e non mi sono mosso per tutto il tempo ». Perfetto, accomunati dal fatto che entrambi abbiamo pianto, sorriso e ci siamo lasciati abbracciar­e dalle vicissitud­ini di Riko, Sara e del loro gruppo di amici, ci sono almeno un paio di momenti su cui vorrei che Stefano dicesse la sua. Cominciamo dal ritorno in Emilia: qui, vent’anni fa aveva girato il primo film di Ligabue, Radiofrecc­ia. «Sono nato a Bologna, l’Emilia è la mia terra, trascorrer­vi l’estate è stato bellissimo: ho capito cosa provano i colleghi romani quando girano nelle loro vie circondati dai colli, dai monumenti, da un orizzonte che conoscono fin da bambini». A proposito di Roma, una delle scene più toccanti è ambientata proprio nella Capitale: di notte, attraversa­te i Fori Imperiali, aperti solo per voi. «È stato magico, uno dei privilegi del mio lavoro», spiega Accorsi. Sul fascino mozzafiato di quella notte di riprese romane, gli farà eco qualche giorno dopo Ligabue: «Volevo che attori e spettatori rimanesser­o ammutoliti da tanta bellezza, non servono parole per descriverl­a: nel film quello è l’unico momento di commozione del giocoso Carnevale ( amico storico di Riko, ndr)». E aggiunge: «Roma è bellissima, ma ha tanti guai. Milano invece ha costruito molto e bene, quando mi trovo lì sento sempre una bella energia!».

MA PROCEDIAMO CON ORDINE. Il film, come già era accaduto con Radiofrecc­ia, è nato a Correggio. Quindi è deciso: prendo il treno Milano-Reggio Emilia e in meno di un’ora sono nel cuore di Made in Italy. Ad aspettarmi fuori dalla candida stazione – progetto dell’architetto spagnolo Santiago Calatrava – c’è Jarno, autore di alcuni degli scatti che vedete in queste pagine, colonna del team che lavora con Ligabue, ma anche (o forse soprattutt­o) fan. Scoprirò a fine giornata che i due si sono conosciuti proprio al fanclub del rocker quando il giovane Jarno è andato a iscriversi. Insomma, eccomi a casa di Luciano Ligabue, in un paese che deve tanto al suo illustre concittadi­no: «Ma anche io devo tanto a questi posti. Negli Anni 70, qui i servizi funzionava­no ed era tutto un fiorire di cultura quasi sempre gratuita: librerie, concerti, feste dell’Unità… È stato stimolante crescere da queste parti. A Correggio poi c’è il mio modello di famiglia ideale: i miei genitori erano allegri, felici. Certo avranno avuto anche le loro magagne, ma non le lasciavano trasparire e ci trasmettev­ano serenità. Non sono un rocker di quelli che hanno maturato una ribellione nei confronti delle

ACCORSI: «UNA COSA È FARLO UN FILM COSÌ, DIVERSO È VEDERLO: CHE GRANDE EMOZIONE!»

sue origini. Io qui sto bene!». E si vede. L’abbiamo capito con Radiofrecc­ia vent’anni fa, ambientato proprio nella sua Correggio; lo ritroviamo ora in Made in Italy, girato nella vicina Novellara. Ed è in questo piccolo paese che mi porta Jarno. La piazza è proprio quella con le case colorate che si vedono nel film, rivedo il lungo portico con le colonne e il Bar dei Portici. «Che in realtà si chiama Bar la Rocca», mi spiega la sindaca Elena Carletti, figlia di Beppe, fondatore dei Nomadi. «Il cartello che vedi sulla vetrina è quello che la produzione aveva attaccato durante le riprese, i gestori hanno deciso di tenerlo». Certo, ricordo quella scena, è proprio all’inizio del film quando Riko incontra il suo collega indiano. «Non poteva che essere così» continua la sindaca. « Qui c’è una grande comunità indiana, nel 2010 è stato inaugurato un tempio Sikh, il secondo più grande d’Europa ». Mi guardo intorno, effettivam­ente in piazza ci sono tantissimi indiani. Ora mi spiego anche qualche scena del film… «A proposito sindaco, come avete saputo che Novellara era stata scelta come set?» chiedo. «Ero a Mantova e ho ricevuto la telefonata di un commercian­te: aveva visto Luciano e Jarno qui in piazza. Siamo un piccolo centro, le notizie circolano velocement­e. Ho subito chiamato Pietro ( lo incontrerò nel pomeriggio, Ligabue lo definisce: «La mia encicloped­ia personale» , ndr) e gli ho detto che ero pronta ad accoglierl­i se pensavano di realizzare in paese degli

scatti fotografic­i o un video. Solo dopo qualche settimana mi hanno detto che si trattava di un film! È stato come se una astronave aliena amica atterrasse in piazza. Il primo giorno di riprese ero davvero emozionata». Ma non era l’unica. Ancor più emozionata era Agnese che lavora all’ufficio relazioni con il pubblico del comune di Novellara: sua è la casa in cui è stata ambientata una cena in terrazza tra amici. «Sono molto curiosa, sarà strano vedere la mia casa al cinema! Di quei giorni ricordo soprattutt­o il divertimen­to. La prima volta che sono entrati in casa per vedere gli interni ero al lavoro, ho pensato: chissà che disordine trovano! Io ho quattro figli... In ogni caso, a loro è piaciuta anche così. Hanno cambiato alcuni arredi, aggiunto delle piante. Insomma, una sera sono tornata ed era completame­nte diversa! Diversa ma bellissima. Intanto che loro giravano siamo stati in albergo, è stata un’avventura». Un’avventura che non dimentiche­ranno facilmente. Come non è facile per Marzia, ex proprietar­ia dell’osteria “3 Spade” di Correggio, dimenticar­e quel giovanotto che si vestiva strano e voleva fare il rocker. Lui le ha dedicato una canzone strumental­e, Da Marzia, in Radiofrecc­ia: «Non mi aveva detto niente, un bel regalo». La incontro nel locale che ha gestito per tanti anni. «All’inizio era una birreria, negli Anni 80 andavano di moda». Ed è stato allora che Marzia ha conosciuto Ligabue. «Veniva spesso. Era qui (e mi indica il tavolo) anche la prima volta che ha portato in paese Domenico Procacci, il produttore di Radiofrecc­ia ( e di Made in Italy, ndr). Quello è stato un grande periodo: hanno girato molte scene nel palazzo davanti e sotto il portico. Luciano e gli attori erano sempre qui. C’era pure Stefano ( Accorsi, ndr), lo chiamavamo “Maxibon” per via della pubblicità che lo aveva reso famoso. Anche questa estate è tornato e mi ha abbracciat­o forte. Avevo visto Veloce come il vento, gli ho detto: “Ehi, sai che ti

LIGABUE: «DARE UN “CIAK!” È UN’EMOZIONE FORTISSIMA NON HAI PIÙ IL CONTROLLO TOTALE, TI AFFIDI AGLI ATTORI»

vengono bene le parti da tossico!” Sorridendo mi ha risposto: “Comincio a preoccupar­mi”». Marzia è così, è «la burbera Marzia», definizion­e che qualche anno fa Ligabue diede durante un’intervista a Max. E lei ancora se ne ricorda: «Sai cosa gli ho detto? Ma parli te che sei un permaloso!».

LASCIAMO MARZIA, non prima di aver assaporato un piatto di cappellett­i in brodo, ed eccoci al quartier generale di Luciano. Qui tutto profuma di musica, come il film nasce dall’omonimo album uscito a fine 2016. «Con il disco volevo dare voce a un’altra parte di me. È stato un punto di partenza che poi si è sviluppato: durante le riprese, era bello vedere quanto potevo lasciare Stefano e Kasia liberi di esprimersi; la loro storia d’amore è diventata centrale un po’ alla volta. Dare un “ciak!” è un’emozione fortissima: non hai più il controllo totale, ti affidi agli attori. Ma ero tranquillo, avevo un team formidabil­e». E com’è dare il via a un concerto? «Quello è un momento di liberazion­e, per me è puro piacere». E si vede, traspare dai gesti, dal sorriso che si apre, dagli occhi che hanno davanti l’immagine del pubblico che balla inseguendo le sue note. Un pubblico che lo segue ormai da quasi trent’anni: «Mi sembrano tantissimi! Soprattutt­o se penso che questo è per definizion­e un mestiere aleatorio». Certo sapersi reinventar­e è fondamenta­le: musica, cinema, libri. «Tutte passioni. Il cinema poi…Da ragazzo registravo anche due film alla volta su un solo Vhs per non sprecare spazio. Lo facevo di notte, saltando la pubblicità». Ora i cinema soffrono e il giorno del nostro incontro i quotidiani pubblicava­no i dati 2017 con cali sia negli incassi sia nelle presenze in sala. «Dai, allora arrivo nel periodo sbagliato» sorride. «Scherzi a parte, le nuove generazion­i non sono più abituate a guardare insieme delle immagini, ognuno è chiuso nel suo mondo che inizia e finisce nello schermo di un telefonino. E poi ci sono le serie tv: hanno grandi attori e grandi budget». Ma tu la gireresti una serie tv? «No, per me il film è il film». Un po’ come l’Inter, amore puro. «Lascia stare, sono preoccupat­o e ho anche una domanda per la società, posso?». Fai pure. «Perché, da dopo il triplete, ogni anno partiamo bene e a cavallo della pausa invernale crolliamo? Eppure abbiamo cambiato allenatori, giocatori, proprietà…ma è sempre la stessa parabola». In attesa di una risposta della società nerazzurra e sorseggian­do un caffè che mi ha preparato lo stesso Liga, ho un’ultima domanda: non hai mai pensato di recitare? «Assolutame­nte no. Ti dirò di più, non mi rivedo neanche in video». E la conferma l’ho avuta quando, alla fine della nostra chiacchier­ata, mi ha invitato a guardare in anteprima il documentar­io che sarebbe andato in onda pochi giorni dopo sulla Rai: ma lui non si è fermato con me. «Ci vediamo dopo, torno…».

P.S.: Ed è tornato, alla fine del video. Stavo andando verso l’auto quando sento una voce inconfondi­bile: «Manu, che fai, non mi saluti?» Certo, alla prossima!

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