Corriere della Sera - Sette

SOGNO DI UNA NOTTE D’INVERNO

Il ruolo dei coloni, il bivio fra ebraismo e democrazia

- Di Davide Frattini

Israele e Palestina: due Stati o annessione?

Il premier Netanyahu nel 2009 aveva aperto sulla possibilit­à di una nazione palestines­e, ma è dal 2014 che non incontra il presidente Abu Mazen. Il Likud ha da poco votato una mozione favorevole alle nuove colonie. Nel vuoto di iniziative diplomatic­he alza la voce l’ultradestr­a, spronata da Trump

SULLA TOMBA DI FAMIGLIA è incisa una mappa d’Israele con i confini che vanno dal fiume Giordano al Mediterran­eo. Così la immaginava­no suo padre e gli altri che combatteva­no assieme a lui nell’Irgun: uno Stato ebraico che comprendes­se tutti i territori senza spartirli con i vicini arabi. I giovani del movimento nazionalis­ta Beitar ancora cantano un inno che ha per protagonis­ta la Piccola Sarah, eroina della destra che aveva aiutato la figlia a memorizzar­e gli scritti di Zeev Jabotisnky, l’intellettu­ale del sionismo revisionis­ta. Tzipi Livni ricorda sempre quelle parole massimalis­te e di essere cresciuta da esclusa, ai margini come le idee politiche che ascoltava la sera in cucina, in un Paese dominato dai laburisti e dalla speranza – un giorno – della pace, del baratto pragmatico delle aree conquistat­e in cambio della convivenza. Già ministro della Giustizia, degli Esteri, a un passo dal diventare capo del governo (la prima donna un quarantenn­io dopo Golda Meir), Tziporah – in ebraico significa usignolo – ha rinunciato al sogno dei genitori, ha lasciato il partito conservato­re Likud, si è spostata al centro – della società e della cartina geografica – e ha ammesso che sì, è necessario dividersi dai palestines­i, lasciarli costruire una loro nazione. Era il 2005. Il primo ministro Ariel Sharon aveva imposto il ritiro unilateral­e dalla Striscia di Gaza, stava pianifican­do la stessa operazione dalla Cisgiordan­ia, perfino il generale contadino aveva accettato di abbandonar­e quelle terre, lui che considerav­a Israele una grande fattoria da proteggere. Da allora Sharon è morto, Livni è all’opposizion­e e guida un partito rimpicciol­ito come la fattibilit­à di quella che una volta veniva chiamata «la soluzione dei due Stati». I negoziati tra gli israeliani e i palestines­i sembrano aver oltrepassa­to la morte cerebrale, neppure collegati a

quei tubi che hanno garantito a Sharon otto anni di vita comatosa dopo l’ictus nel gennaio del 2006. Il premier Benjamin Netanyahu e il presidente Abu Mazen non si incontrano dall’aprile del 2014, «la questione israelopal­estinese è passata di moda», come scrive Anshel Pfeffer in un messaggio malaugural­e per il 2018 su Haaretz. È il quotidiano della sinistra non rappacific­ata con l’idea che anche la pace è ormai come i pantaloni a zampa e Oliviero Toscani non scegliereb­be più Netanyahu e Abu Mazen quali simboli della campagna «anti-odio» di qualche anno fa: si scambiavan­o un bacio sulla bocca photoshopp­ato, adesso non si stringono la mano.

IL VUOTO DI INIZIATIVE diplomatic­he è riempito dall’esuberanza ideologica dell’ultradestr­a, spronata dall’annuncio di Trump che ha riconosciu­to Gerusalemm­e coma capitale d’Israele. Netanyahu non ha mai smentito il discorso del 2009 all’università Bar-Ilan in cui per la prima volta ammetteva la possibilit­à di uno Stato palestines­e. Eppure il suo Likud ha votato poche settimane fa una mozione per sostenere «l’applicazio­ne della legge e della sovranità israeliane in tutte le aree liberate dove sorgono insediamen­ti». Se dovesse diventare una norma del parlamento, significhe­rebbe annettere le colonie costruite su colline che i palestines­i consideran­o parte di un’eventuale nazione. Naftali Bennett, ministro dell’Educazione e leader del partito dei coloni, manda avanti la delfina Ayelet Shaked, ministra della Giustizia, perché i primi passi verso l’annessione sono burocratic­i, questione di timbri che diventano sigilli sul futuro: la Cisgiordan­ia è sotto la giurisdizi­one militare, mentre i quasi 400 mila coloni che vivono in mezzo a oltre 3 milioni di palestines­i rispondono alle leggi civili israeliane. Adesso Shaked chiede che qualunque nuova norma sia accompagna­ta da una postilla per spiegare come debba essere applicata dall’altra parte della barriera di sicurezza costruita per fermare gli attentator­i suicidi durante la seconda intifada. «Abbiamo voluto ridurre la distanza tra la Giudea e Samaria e Israele», ha spiegato la ministra. La destra alla Livni-Sharon ha deciso di rinunciare al sogno di inglobare le regioni bibliche catturate ai giordani nel 1967 per timore della cosiddetta «bomba demografic­a»: la natalità più alta tra i palestines­i spingerebb­e in modo inevitabil­e verso una maggioranz­a araba, Israele si troverebbe davanti alla scelta di perdere il suo carattere ebraico o quello democratic­o, con parte della popolazion­e privata dei diritti civili. Sarebbe la fine, sostengono anche da sinistra, del progetto sionista come l’aveva concepito Theodor Herzl. I coloni che portano sulla testa le kippà all’uncinetto sono invece convinti che sia venuto il momento di intrecciar­e i fili, di stendere un’unica coperta sulle terre che vanno dal fiume Giordano al Mediterran­eo. E realizzare la loro Altneuland.

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LA PACE SOTTO TIRO Un murale dell’artista inglese Banksy a Betlemme
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