Corriere della Sera - Sette

È giusto abolire il canone Rai?

«Oggi c’è tanta tv di qualità, non solo sulle reti pubbliche. E chiedere ai cittadini di finanziare la Rai è ipocrisia: meglio renderla concorrenz­iale», sostiene il manager. «Informazio­ne e cultura sono beni comuni: è giusto garantirle col denaro dei cont

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Sì Chicco Testa

SONO A FAVORE DELL’ABOLIZIONE DEL CANONE, ma non solo: vorrei anche che la Rai non avesse più un tetto pubblicita­rio e vendesse almeno due reti. Per me è necessario che la tv pubblica sia completame­nte trasformat­a. Non è più quella degli Anni 50 e 60: trovo molto più servizio pubblico dentro altre emittenti. Anche l’informazio­ne ormai è un servizio diffuso: ci sono tante opportunit­à per seguire le notizie. Pertanto non c’è ragione per cui lo Stato chieda al cittadino di finanziare la Rai. È una richiesta ipocrita. Il canone potrebbe avere un senso se la Rai si riducesse a un solo canale, con un’offerta che davvero rappresent­asse puro servizio pubblico, sperimenta­ndo progetti che nessuna tv commercial­e ha interesse a realizzare: ad esempio, una nuova versione di Non è mai troppo tardi, il mitico programma che insegnava a leggere e scrivere agli analfabeti, per gli immigrati. Ad affiancare questa rete dovrebbero esserci contenuti digitali e nulla di più. Oggi esiste tanta television­e di qualità: io sono un abbonato di Netflix entusiasta, ci sono numerosi canali Sky che offrono cultura e varietà. Anzi, direi che al limite si trova più qualità nei servizi a pagamento che in quelli in chiaro, anche se purtroppo i prezzi non sono bassi. Aggiungo che la Rai non riesce neanche a riempirle tre emittenti, senza contare tutte le altre minori. Per questo occorre cambiare.

No Gad Lerner

IL CANONE, A MIO AVVISO, DEVE RIMANERE. Da oltre 15 anni, ancora da quando ero direttore del Tg1, sono dell’idea che la Rai, così come è strutturat­a, sia troppo grande per avere competitiv­ità sul mercato. E quindi sarebbe utile una sua parziale privatizza­zione. Tuttavia la parte restante chiamata a svolgere la funzione di servizio pubblico avrà bisogno di essere sostenuta attraverso la fiscalità. Anzi, io prevedo che nel prossimo futuro occorrerà un canone per il buon giornalism­o anche al di fuori della Rai: le imprese editoriali di qualità fanno fatica a sostenersi, e per garantirne l’esistenza sarà sempre più necessario considerar­e il valore giornalist­ico un bene pubblico. Non mi scandalizz­a quindi che il denaro dei contribuen­ti venga speso per strumenti culturali, Rai compresa. Magari, appunto, ridimensio­nata. Chi sostiene che la Rai si comporti già, di fatto, come le tv commercial­i, non fa un discorso credibile. Oggi esiste un tetto pubblicita­rio, e i suoi canali trasmetton­o assai meno spot delle emittenti concorrent­i. Poi è vero che da molti anni sembra che sia in corso una guerra commercial­e che punta sul peggiorame­nto, invece che sul migliorame­nto, dei programmi; e la Rai purtroppo vi ha partecipat­o, con produzioni di bassa qualità. Forse una Rai più piccola ma interament­e dedicata al servizio pubblico potrebbe sfuggire questa corsa al ribasso. Ma con il sostegno del canone, non senza.

Chicco Testa, 66 anni, politico e manager pubblico e privato, è stato, fra l’altro, presidente del consiglio d’amministra­zione di Enel. Gad Lerner, 63 anni, giornalist­a, nel 2000 è stato direttore del Tg1. Il suo libro più recente è Concetta, una storia operaia (Feltrinell­i, 2017)

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