BLACK ROCK
Paolo Fresu, l’uomo con la tromba torna alle origini
SE AVETE SEMPRE CREDUTO che fossero i musicisti a scegliere lo strumento vi siete sempre sbagliati. Prendi Paolo Fresu. «È stata la tromba che ha scelto me», dice tornando indietro a un bel po’ di anni fa con la memoria. Si rivede bambino in Sardegna, nella sua Berchidda. «Mio fratello, più grande di me, si era iscritto al corso della banda», racconta, «e così a casa nostra era comparsa questa tromba. Ancora oggi nessuno di noi ricorda come arrivò, forse un regalo... Beh, io me ne innamorai, volevo toccarla, provare a soffiarci dentro. Ma avevo 8-9 anni e, proprio per proteggerla da me, i miei l’avevano piazzata in alto, sopra la libreria. Per me era l’oggetto del desiderio più assoluto. Quando a 10 anni mi sono iscritto anch’io al corso finalmente mi permisero di toccarla. Erano pastori, gente semplice convinta che uno strumento debba essere conquistato». Paolo, classe 1961, è andato ben più in là della conquista. È diventato il signore indiscusso del jazz italiano, ha inciso decine di dischi, ha lavorato con grandi nomi della musica nazionale e internazionale, ha vinto così tanti premi che nemmeno lui sa più quanti siano, ha fondato un’etichetta discografica tutta sua (Tük Music), ha composto musiche per film, per documentari, per il balletto, per il teatro... Paolo Fresu, classe 1961, organizza ogni anno nella sua Berchidda (Olbia-Tempio)
DICIAMO CHE OGGI lui è se stesso più la tromba. E dopo tutti questi anni riesce a sorprendere ancora una volta tornando all’essenza, con un disco completamente acustico. Il Paolo Fresu Devil Quartet cambia infatti direzione con Carpe Diem,
E AMORE FU
registrato un anno fa e in uscita il prossimo 16 febbraio. «L’idea», spiega lui stesso, «era quella di una sorta di ritorno alle origini con la scelta acustica, appunto, anche se questo quartetto ( al suo dodicesimo anno di attività, ndr) è conosciuto come elettrico». Quattordici le tracce messe assieme da Fresu, Bebo Ferra, Paolino Dalla Porta e Stefano Bagnoli, con un tour di presentazione che parte da Cagliari il 22 febbraio e passa per Napoli, Casalgrande (Re), Forlì, Bologna e Milano. A proposito di ritorno alle origini. Capita di tanto in tanto che Paolo ripeschi dalla memoria ricordi dei suoi primi passi musicali. «Me ne andavo in campagna con mio padre», racconta. «Lui stava con le pecore e io me ne andavo nella casetta che avevo costruito su un albero a suonare la tromba. Avevo molta memoria. Quella tromba ricordo che non era un granché come strumento ma per me era inebriante l’odore dell’olio dei pistoni. Ecco: io alla musica associo quello, l’olio dei pistoni».
QUANDO DICE «avevo molta memoria» intende che ne aveva molta di più di quanto si possa immaginare. Quando faceva il chierichetto, per dire: se ne stava lì davanti all’altare ma pensava alla tromba: «Ripassavo mentalmente le posizioni dello strumento senza che nessuno me lo avesse ancora insegnato». Magari le aveva viste durante il passaggio della banda antica di Berchidda, altra «attrazione che ricordo come irresistibile». Irresistibile. Quasi come il jazz di cui si innamorò perdutamente nei primi anni Ottanta. Un amore corrisposto.