Corriere della Sera - Sette

Le campane della discordia? Storia (e poesia) d’Italia

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«IL GIORNO FU pieno di lampi; / ma ora verranno le stelle, / le tacite stelle. Nei campi / c’è un breve gre gre di ranelle. / Le tremule foglie dei pioppi / trascorre una gioia leggiera. / Nel giorno, che lampi! che scoppi! / Che pace, la sera!» Non c’è italiano di una certa età che non ritrovi nella memoria qualche traccia de La mia sera di Giovanni Pascoli. Ricordate uno degli ultimi passaggi, sulle campane? «Don... Don... E mi dicono, Dormi! / mi cantano, Dormi! sussurrano, / Dormi! bisbiglian­o, Dormi!...». Dormi!? Mica facile dormire, se le soavi campane non smettono mai. Ma proprio mai. Passata la poesia, resta il baccano. E fu così che Pascoli, come racconta lo storico Stefano Pivato in uno dei suoi libri più belli, Il secolo del rumore, decise all’inizio del Novecento di dare sfogo «al suo livore anticleric­ale ingaggiand­o una disputa col parroco di Barga per l’eccessivo scampanìo della torre campanaria. “Suonano. Io ho toccato con mano la vituperosa essenza del cattolices­imo o paganesimo­senza-bellezza”, scriveva nel 1906». La casa del poeta a Castelvecc­hio, si legge nel libro, «era vicina alla chiesa del paese» e nonostante lui avesse «in più di un’occasione cantato “i cari suoni delle campane”», a un certo punto non ce la fece più. E ingaggiò «una furiosa polemica contro il “pretoccoli­no” di Barga, definito in alcune Mombello Monferrato comune di poco più di mille abitanti in provincia di Alessandri­a

lettere ai familiari anche il “pretaccio” o “prete ignorantel­lo”. Pascoli non solo lamentava che il suono delle campane disturbava il sonno notturno e la sua concentraz­ione durante le ore diurne, ma temeva – verosimilm­ente esagerando – che le “ondataccie” delle campane potessero minare la stabilità della sua dimora. E di fronte al pericolo che alle due campane già esistenti ne fosse aggiunta una terza, il poeta intraprese una vera e propria vertenza contro il parroco coinvolgen­do anche l’arcivescov­o di Pisa, il cardinale Giuseppe Maffi». Finché la querelle, «trascinata­si per anni a suon di proteste e petizioni, si risolse con la rimozione del parroco». Ecco, bisogna rileggere le storie di una volta per capire davvero la storia raccontata sul Corriere la settimana scorsa da Marco Imarisio sul paese di Mombello Monferrato che con un referendum ha deciso che le campane della parrocchia possono continuare a suonare anche di notte. Perché, come scrive Pivato, lo scontro sulle campane «ha costituito, almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento, una delle più accese diatribe tra il fronte clericale e quello anticleric­ale. Una sorta di guerra nella quale il fronte laico ravvisa nella campana il simbolo per eccellenza della religione tradiziona­le. E, dunque, da combattere».

FASTIDIOSE DOVEVANO ESSERE senz’altro. Basti dire che il pittore e poeta John Ruskin, che visitò l’Italia a metà dell’Ottocento, confessò di essere fuggito da Firenze perché non sopportava il «frangersi perpetuo di fragori mostruosi e disumani, urla e schiamazzi di esseri osceni fino a notte fonda; rimbombi di campane al mattino che si scontrano in impietose dissonanze da un campanile all’altro». Tra le cronache giudiziari­e spicca la denuncia di un poveretto che lamentava come il suo campanile emettesse «864 colpi nelle 24 ore, annunciand­o l’ora, ogni quarto d’ora con un tocco di preavviso». Fosse anche stato un poeta, insomma, il poveretto non avrebbe mai potuto scrivere «Che pace, la sera!»

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