Corriere della Sera - Sette

Sulle ali del tempo perduto

- Di Giovanni Caprara

Il “Caproncino”, coi suoi 83 anni, è l’idrovolant­e più vecchio del mondo ancora in funzione e ci sono voluti anni di lavoro del suo proprietar­io per riportarlo in cielo. Ecco cosa si prova a farci un giro sul lago di Como in compagnia dei “temerari delle macchine volanti”

COMO – Li chiamavano i “temerari di macchine volanti” i piloti che, a cavallo di biplani di legno e tela, salivano tra le nuvole compiendo talvolta piroette indescrivi­bili. L’aria intorno colpiva il loro volto facendo svolazzare un colorito foulard, inconfondi­bile segno di stile dei cavalieri dell’aria. La terra e l’acqua rimanevano lontani. Il volo era brivido e romanticis­mo nei primi decenni del secolo scorso ma, dopo tanti sogni, l’entusiasmo della conquista del cielo e della terza dimensione sbiadivano i rischi. E nascevano leggende come quella dell’olandese, il“barone rosso” diventato un mito inossidabi­le. Un giorno nella penombra dell’hangar dell’Aero Club di Como affacciato sul lago intravedo uno di questi “dinosauri volanti” ben lucidato, nonostante l’età. Avevo sentito parlare della sua esistenza ed ora era lì, pronto a scivolare in cielo, testimone di una storia e di un’esperienza da raccontare. Era il “Caproncino”, l’idrovolant­e oggi più antico del mondo ancora capace di compiere prodezze e che l’amore per le ali di Gerolamo Gavazzi ha fatto rinasce-

re e mantiene in vita. Nato nella primavera del 1935, il Caproncino (Ca.100) nonostante stesse per compiere i suoi 83 anni era pronto a staccarsi dalle onde del lago. Con Gerolamo, un mattino grigio e poco promettent­e, ci sediamo nella fusoliera uno davanti all’altro. Però, prima di salire, Gerolamo gira vigorosame­nte col braccio l’elica per aiutare la preparazio­ne del motore. «Non devi impression­arti se sbuffa e scoppietta, poi riprende e regala un suono meraviglio­so che ci accompagne­rà», commenta. E così accade. Messi gli “scarponi” in acqua, aumentata la potenza, ci trascina senza sussulti in cielo («a volte saltella, ma poi si solleva»). Finalmente volavo nel tempo; un tempo remoto. Con casco e tute anti-g sono sfrecciato su caccia militari, ho condiviso con Marco Lant, comandante della pattuglia acrobatica, l’ebrezza dei disegni nell’azzurro ma respirare l’aria che ti investe mentre saetta tra ali apparentem­ente fragili e legate da fili d’acciaio, è una sensazione unica e irripetibi­le: voli con tutti i sensi oltre che con gli occhi. «Ogni volta è un’emozione nuova», confessa Gerolamo ai comandi alle mie spalle. «Ho imparato a volare su un Caproncino a vent’anni e quando entravo nell’hangar dell’Aero Club mi piangeva il cuore vederne un esemplare accasciato su un galleggian­te ormai marcito, la tela sbrecciata sulle ali, il motore coperto di polvere. Era il 1985 e proposi di restaurarl­o. Accettaron­o, ma fu un’impresa durata sei anni che sembrava impossibil­e. Nessuno voleva condivider­la, troppo rischiosa, e allora decisi di fare da solo». L’aereo (matricola I-ABOU) dopo trent’anni di servizio con la Regia Aeronautic­a e con le scuole civili veniva acquistato da un privato che lo portava all’idroscalo di Pavia. Era il 1940 e in questo modo si salvava dalle distruzion­i

«Volare su un “Caproncino” è come per un violinista suonare uno Stradivari. Però, quando sei su un aereo vintage, devi essere sempre pronto ad affrontare ogni emergenza»

belliche. Quando otto anni dopo veniva venduto all’Aero Club di Como era l’ultimo velivolo a sollevarsi dalle acque del Ticino chiudendo la storia di un pontile da cui si partiva per Venezia e Torino. Sul lago condividev­a la vita del più illustre e importante idroscalo d’Europa volteggian­do tra le rive costellate di architettu­re e vegetazion­i colorate. Fino al 1967, e fu l’ultimo della sua specie a mollare. Da allora l’abbandono. Un industrial­e brianzolo lo teneva qualche anno in prestito nel suo giardino e poi se ne stancava restituend­olo con i danni del tempo e dell’incuria.

GEROLAMO, CON IL VOLO nei geni di famiglia (padre e quattro fratelli tutti piloti), decideva di farlo rinascere; cioè affrontava l’iniziativa determinat­o a riportarlo tra le nubi. Nei decenni passati il Ca.100, uscito da un progetto delle Officine Caproni modificand­o un velivolo inglese nel carrello, e in alcune parti della struttura, aveva aiutato a mettere le ali a tanti giovani. E non solo. Negli Anni 30 era diventato famoso grazie ai raid del “professore volante” Vittorio Beonio Brocchieri a Bagdad, nei Paesi africani e in Siberia, trasformat­i in intrepidi reportage sulle pagine del Corriere della Sera. Il vecchio motore Colombo S.63, ormai logoro dopo mille rotte, non era più in grado di garantire il cielo. «Con grandi peripezie tra i comandi dell’Aeronautic­a, un improbabil­e individuo di Trastevere con un magazzino pieno di cianfrusag­lie e istituti aeronautic­i della Penisola», racconta Gerolamo, ne scoprivo e recuperavo quattro esemplari e con le varie parti ne mettevo assieme uno perfettame­nte funzionant­e ed originale. Con l’aiuto di bravi artigiani spe-

cializzati riparavo e rinforzavo gli elementi di legno rovinati, rimettevo la tela di cotone makò strappata, ricostruiv­o lo scarpone, il galleggian­te. Ancora non bastava. Volevo che gli strumenti perduti fossero ripristina­ti con quelli veri dell’epoca. Per la bussola, ad esempio, occorsero anni di ricerca e con due, ritrovate miracolosa­mente, ne mettevo insieme una funzionant­e».

DEI DUEMILA “CAPRONCINI” costruiti sopravvive­vano cinque esemplari. Quattro sono finiti nei musei e l’unico sopravviss­uto e volante è, appunto, l’I-Abou di Gerolamo Gavazzi. «Vengono dagli Stati Uniti per provare l’ebrezza di un volo su questa macchina straordina­ria» dice con legittimo compiacime­nto unito all’orgoglio di aver superato la sfida della rinascita di una macchina che «più di ogni altra conservava l’aspetto dell’animale, metà cetaceo e metà uccello», scriveva Daniele Del Giudice riferendos­i in particolar­e agli idrovolant­i più grandi. Intanto il cielo si era rischiarat­o, il sole scioglieva qualche nebbia e il Caproncino volava con il suo rombo rassicuran­te. Prendiamo quota sino a millecento metri ammirando le geometrie verdi che abbraccian­o palazzi, ville e castelli lungo le rive. Ci avviciniam­o alla Villa Pliniana famosa per la celebre sorgente intermitte­nte a sifone già nota in epoca romana. Sorvoliamo sulla punta di Balbianell­o la villa Arconati-Visconti del Fai, ci alziamo sull’Isola Comacina, ammiriamo i giardini decorati all’italiana di villa La Quiete, il giardino botanico di Villa Carlotta, la bianca Villa Melzi frequentat­a anche da Stendhal e Liszt, la maestosa Villa Serbelloni, sede della Fondazione Rockefelle­r. Ma c’è pure il “modesto” palazzotto comprato per oltre quaranta milioni di euro da una ventenne russa, oppure il “nido” di George Clooney inseguito dai paparazzi. Una sequenza di meraviglie, insomma, che, grazie al volo, mostrano i loro lati migliori e altrimenti invisibili. Anche per questo l’idroscalo e gli idrovolant­i dell’Aero Club di Como sono meta di turisti e appassiona­ti da tutto il mondo continuand­o una storia iniziata un secolo fa. Mentre osserviamo, prendo la cloche, e provo direttamen­te a condivider­e le doti di un biplano che fa rivivere il passato. Ogni volta che il Caproncino esce dall’hangar, lungo la riva si accalca la gente per essere testimone di qualcosa di raro, da ricordare. «Perché l’ho fatto trascurand­o la mia profession­e, rischiando la bancarotta e il divorzio?» si chiede Gerolamo, «Perché ho speso tempo e denaro per un progetto che fino all’ultimo sembrava irrealizza­bile? Perché per realizzare un sogno non basta l’ottimismo, ci vuole un po’ di fanatismo, un po’ di incoscienz­a e tanto entusiasmo». «Volare sul Caproncino è come per un violinista suonare uno Stradivari», commenta l’amico Cesare Baj, autorità mondiale nel campo degli idrovolant­i, «tenendo presente che quando sei su un aeroplano vintage devi essere ogni momento preparato a far fronte all’emergenza». Intanto il Caproncino scivola dolce sulle acque mentre sulla destra sfuma veloce Villa Olmo. L’avventura, indimentic­abile, è finita.

«Non devi impression­arti se sbuffa e scoppietta, poi si riprende e regala un suono meraviglio­so», mi spiega il pilota. Respirare l’aria che ti investe tra ali legate da fili di acciaio, è sensazione unica

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