La memoria vulnerabile degli scrittori
PAD vuol dire Pavia Archivi Digitali. Appunti, bozze, versioni di romanzi, poesie e saggi: una volta era tutto cartaceo (e durava nel tempo), oggi è tutto digitale (e rischia di andare perduto). A Pavia, dove già si tutelano gli archivi di molti grandi au
cosa c’è nel computer degli scrittori? Un po’ di tutto. Libri, racconti, articoli, ma anche appunti, bozze, scarti di lettere con la casa editrice, gli amici, i lettori. In altre parole, nel computer degli autori di oggi c’è ciò che gli autori di ieri tenevano sulla scrivania. Per tutti ormai il processo creativo avviene soprattutto davanti a uno schermo. E le conseguenze sono rilevanti. Per decenni gli studiosi si sono potuti tuffare negli archivi per consultare gli epistolari di un autore o confrontare le diverse stesure di un’opera. Ma come faranno i loro colleghi del futuro, se le correzioni non sono state fatte a penna su un foglio, bensì su un file salvato in un formato diventato obsoleto? La soluzione è una sola: agli archivi dei manoscritti si devono affiancare gli archivi dei file. Un compito facile? Per nulla. Parola di chi ci sta provando.
«QUANDO mi chiedono “ma voi cosa conservate?”, io rispondo: “Problemi”». Questa battuta è una delle prime che sento pronunciare negli uffici di PAD (Pavia Archivi Digitali), un progetto nato nel 2009 da un’idea dell’allora presidente dell’Associazione ex alunni dell’Università di Pavia, Beppe Severgnini, ora direttore di questo settimanale: «Ho pensato che una grande e antica università fosse l’istituzione adatta a creare un archivio digitale perché dispone di tutte le competenze necessarie, da quelle filologiche a quelle giuridiche». La missione di PAD è raccogliere, conservare e rendere consultabili nel lungo periodo i documenti di scrittori e intellettuali contemporanei. Ovvero preservare la memoria digitale con lo stesso rigore con cui la memoria di carta è stata conservata dal Centro Manoscritti, storica istituzione pavese, fondata da Maria Corti, poi diretta da Maria Antonietta Grignani, oggi condotta da Clelia Martignoni. Oltre a Severgnini, hanno donato il loro archivio digitale anche gli scrittori Silvia Avallone, Gianrico Carofiglio, Paolo Di Paolo, Francesco Pecoraro e Franco Buffoni. Sei autori in totale. Pochi? No, se si pensa che la collaborazione, nel mondo accademico, è spesso faticosa; che da principio una sola ricercatrice, Annalisa Doneda, si occupava di visitare gli autori e organizzare il conferimento
e che i file raccolti, in totale, sono già quasi 80mila. Per non parlare del fatto che, quando l’avventura di PAD è iniziata, non c’erano modelli da imitare né software pronti all’uso a cui affidare i file. I primi autori hanno accettato, quindi, di diventare cavie di quello che era a tutti gli effetti un esperimento.
A NOVE ANNI dalla nascita, PAD rimane un progetto unico in Europa. Negli USA alcune istituzioni si occupano del patrimonio digitale di singoli autori, come la Emory University, in Georgia, che gestisce quello di Salman Rushdie. «Non siamo i soli ad avere a che fare con gli archivi digitali letterari, ma per ora siamo gli unici ad esserci posti il problema di creare un sistema capace di accogliere grandi quantità di documenti e di durare nel tempo», precisa Primo Baldini, responsabile tecnico-scientifico e autore di molti dei software usati da PAD. È lui a spiegarmi quali sono i problemi tecnici che rendono i bit molto più delicati ( e difficili da conservare) della carta. L’obsolescenza dei software, ad esempio, può rendere alcuni documenti difficili da consultare sui computer moderni; mentre i file salvati su supporti danneggiati rischiano di essere persi per sempre. Non a caso, PAD ha una strategia di tutela doppia. Da un lato custodisce i documenti nei server dell’Università, dall’altro provvede a realizzare una copia salvata su dvd speciali, con uno strato in oro, conservati sottovuoto nel caveau di una banca: sono garantiti per un secolo. I PROBLEMI DEI SINGOLI FILE, comunque, non sono che l’inizio. I principi dell’archivistica impongono di salvaguardare i fondi senza alterarne la struttura. Non per vezzo, ma perché l’ordine (o il disordine) con cui un autore conserva i propri materiali è di per sé un’informazione preziosa. Qui l’informatica sconfina nella psicologia: se gli autori più ansiosi conservano decine di copie dei testi in decine di cartelle diverse, i metodici applicano con rigore lo stesso sistema di catalogazione per ciascun file. Ma come rendere navigabili archivi potenzialmente enormi senza alterarli? Occorrono programmi capaci di facilitare l’archivista e, un domani, il ricercatore. È questo che fanno i software messi a punto da Baldini, ad esempio automatizzando alcune operazioni, come l’identificazione dei file identici.
L’ordine (o il disordine) è di per sé un’informazione preziosa. L’informatica, in questi casi, sconfina nella psicologia
L’ASPETTO GIURIDICO, di cui si è occupato a lungo l’avvocato Carlo Luigi Ubertazzi, esperto di proprietà intellettuale, è altrettanto complesso. Il contratto di cessione dei file deve prevedere modalità di accesso (immediato, differito, post-mortem?) e di consultazione (in loco o anche da remoto?). Editori, agenti ed eredi sono cauti e vanno rassicurati: PAD non ha scopo di lucro. Risolte le difficoltà tecniche e giuridiche, serve molto lavoro manuale. Un po’ come per gli archivi classici, fatti di fogli, libri e lettere. «Per gli archivi cartacei abbiamo una lunga tradizione alle spalle, per il digitale ancora no», sintetizza Paul Gabriele Weston, coordinatore di PAD. «Sappiamo di maneggiare del materiale delicato», precisa la ricercatrice di PAD Emmanuela Carbè, «ma tra noi e gli autori si instaura un rapporto di fiducia. Uno di loro ci ha chiesto aiuto per ritrovare dei file che non riusciva più a rintracciare nel pc!». Ed è proprio agli autori che bisogna rivolgersi per completare il puzzle.
PERCHÉ HANNO SENTITO l’esigenza di rivolgersi a PAD? Per lo scrittore e poeta Franco Buffoni, classe 1948, si è trattato di un passaggio «naturale». «Passati i 60 anni», racconta, «ho chiesto al Centro Manoscritti di farsi carico del mio archivio cartaceo: operazione non indolore, perché tra i materiali da cui mi sono separato c’è anche il diario di prigionia di mio padre. Ma al Centro è meglio custodito che a casa mia. Avvertivo l’esigenza di fare lo stesso con i miei documenti digitali. Così, nel 2016, ho fatto avere a PAD una prima tranche di file, e quest’anno provvederò a fare un aggiornamento». Se l’esigenza di custodire l’archivio digitale è forte per un autore come Buffoni, che si sente «a cavallo tra due secoli», lo è ancora di più per gli scrittori la cui attività letteraria è iniziata nel nuovo millennio, come Silvia Avallone. «Sono nata nel 1984, quindi non appartengo alla generazione 100% digitale. Scrivere a mano non mi viene naturale, ma con il computer non ho un rapporto di complicità felice. Mi rassicura sapere che esiste un luogo deputato a proteggere i miei scritti. E da lettrice mi entusiasma l’idea di poter consultare, un domani, le bozze dei miei scrittori contemporanei preferiti, un po’ come ho fatto, per la tesi di laurea, con i manoscritti di Elsa Morante».
OLTRE AI TESISTI di domani, questi file potranno essere di grande utilità per filologi, storici della lingua, studiosi di letteratura e di chissà quante altre discipline. «Non spetta a noi chiederci come verranno usati questi materiali», spiega Carbé, « il nostro obiettivo è scattare una fotografia del presente e assicurarci che possa durare ». Conservazione prima di tutto, quindi. E il resto lo lasciamo ai posteri.