Signori, che ne dite di questo Ghetto Tour?
Sempre più spesso i turisti chiedono di visitare i quartieri malfamati delle città occidentali, le bidonville africane, le periferie delle megalopoli dell’Asia, le favelas brasiliane. Morbosità, curiosità o un tentativo di condivisione? Leggete e decidete
CORSE IN MOTOCICLETTA PER LE STRADE delle favelas. Passeggiate tra i bambini di strada di Nuova Delhi. Visite guidate a bordo di jeep senza tettuccio in stile militare. Li chiamano Ghetto Tour. Sono attraversamenti in cui si viene accompagnati per quartieri, palazzi, case addirittura, in cui vive la marginalità urbana. L’interazione con gli abitanti nella maggior parte dei casi è nulla. E anche quando avviene uno scambio, comunque mediato dalla presenza delle guide, la sproporzione delle posizioni è tale da non poter generare granché.
NELL’EDIZIONE DEL 1884, l’Oxford Dictionary definiva il verbo slumming: “Visitare slum specialmente per curiosità o per fini caritatevoli”. Il Ghetto Tour ha radici che affondano proprio nell’età vittoriana, quando i nobili londinesi andavano a sbirciare il mondo di sotto, per poi tornare con una testimonianza diretta come esploratori coraggiosi. La novità è la straordinaria espansione del processo negli ultimi tempi. E il coinvolgimento delle
periferie di tutto il globo: dai quartieri famigerati delle città statunitensi ai contesti più poveri delle metropoli del Terzo Mondo. Nel decennio dei Novanta prendono il via i tour organizzati di Rocinha, la più grande favela di Rio de Janeiro. A metà degli Anni Zero viene formalizzata l’espressione “Ghetto Tourism”. Nel 2010 ha luogo, presso l’Università di Bristol, la prima conferenza internazionale sul tema. Si calcola che nel solo 2014 oltre un milione di persone nel mondo abbiano fatto un’esperienza turistica di questo tipo. La letteratura sull’argomento all’estero continua a crescere per quantità e qualità. In Italia non se ne sa abbastanza.
VIAGGI ORGANIZZATI PER BIANCHI CURIOSI. Gite nelle terre dello stigma. Safari dove invece delle bestie feroci si possono osservare, in piena sicurezza, gli esotici abitanti dei ghetti e le loro abitudini. “L’estetizzazione della privazione” per dirla con Dürr e Jaffe. La povertà come intrattenimento. La retorica è quella dell’alternativa al turismo tradizionale. Si insiste molto su parole come “realtà” e “autenticità”. Le guide, locali o straniere che siano, si pongono generalmente come insider capaci di mostrare la verità vera del territorio.
NON SI VEDONO MONUMENTI ma si va a toccare con mano la povertà, non si attraversa il centro ma la periferia. Solo che la mano ha un guanto intorno e la periferia è un parco a tema dal quale allontanarsi dopo qualche ora a spasso. I profitti vanno soprattutto a chi organizza i tour. Solo alcuni operatori reinvestono parte del guadagno in strutture sul territorio, perlopiù scolastiche.
Al netto di questo, probabilmente il piano di maggior significato è l’impatto culturale e simbolico. Perché qualsiasi siano le intenzioni il Ghetto Tour, aumentando la portata dello stigma, cristallizza la marginalità. Lo scrittore brasiliano Marcelo Mirisola arriva a dire che per Rio de Janeiro è più dannosa l’umiliazione delle jeep di turisti nelle favelas che la delinquenza. Il ventaglio del Ghetto Tourism ha sfumature diverse e confini poco chiari. A Mazatlán, nel Messico occidentale, la discarica è tappa di un tour organizzato dalla locale Chiesa evangelica. Il turista viene messo in condizione di vedere la situazione e portare panini e bibite agli spazzini, che si guadagnano da vivere pulendo resort di lusso delle vicinanze. Il turismo nelle township del Sudafrica, dopo il 1994, riguarda qualcosa di più direttamente politico. I luoghisimbolo dell’apartheid, la casa di Nelson Mandela a So- weto, sono oggetto di un approccio simile a quando si visita un campo di sterminio o una stanza delle torture dell’Inquisizione. Con la differenza che di fronte non c’è un museo dell’ingiustizia, ma un luogo dove le persone stanno vivendo proprio in quel momento. Uno studio del 2010 evidenziava come il 25% del flusso turistico in Sudafrica si dirigesse nelle township.
IL TURISMO NON RISPARMIA nemmeno un luogo devastato, ferito, come la New Orleans del dopo Katrina. È un caso che sembra uscire dalla categoria del Ghetto Tourism, nonostante alcune caratteristiche in comune, a favore del cosiddetto Turismo del Disastro. Un’operatrice ha raccontato che nell’autunno 2005, poche settimane dopo la tempesta, arrivavano continue richieste di poter vedere gli effetti della distruzione. Anzi, non arrivavano altre richieste circa la Louisiana.
Dharavi, a sud di Mumbai, probabilmente il maggiore tra gli slum dell’Asia intera, è destinazione di Ghetto Tourism dal 2006. Ma il giro di questa e delle altre bidonville di Mumbai ha subito un’accelerazione decisiva dopo il successo nel 2008 di un film, The Millionaire di Danny Boyle. Naturalmente l’immaginario ha un ruolo cruciale nella domanda e nell’offerta di queste visite guidate. “Sono rimasto scioccato da quanto friendly and gracious fossero le persone” ha spiegato al «New York Times» un turista statunitense che si era presentato munito di disinfettante per le mani.
LE GITE ORGANIZZATE DALLA REAL BRONX TOUR (45 dollari per «A ride through a real NYC “Ghetto”»), hanno sollevato grosse polemiche nel 2013, anche da parte dell’amministrazione locale. Le proteste giravano intorno alla strumentalizzazione, per vendere una “Ghetto Experience”, dell’immagine brutta, sporca e cattiva di un posto che riunisce un milione e mezzo di abitanti. Dopo una pausa, comunque, le gite sono andate avanti fino al 2017. Lo stesso succede a Brooklyn. In zone dove la gentrification è già piuttosto avanti, come Bushwick, il Ghetto Tourist fotografa per esempio un muro dove lettere di spray dicono CRACK HEROIN, con una rappresentazione della Morte a separare le parole e una scritta: “Just Say No to Drugs”. Un ammonimento da parte della comunità ai suoi stessi membri diventa, così, una specie di installazione per visitatori di un museo a cielo aperto. Kennedy Odede, cresciuto nelle baracche di Kibera, a Nairobi, impegnato a contrastare il fenomeno (dal suo inizio, nel 2009), ha scritto che il Ghetto Tourism è “una strada a senso unico. Loro scattano una foto, noi perdiamo un pezzo di dignità”.
ANCHE IN EUROPA SI SONO MANIFESTATI i primi casi di Ghetto Tourism, benché nascosti dietro alla gratuità o all’ironia. Per esempio nell’ex zona industriale di Charleroi, a sud di Bruxelles. Un giro tra rottami, cemento e spettri di acciaierie, come lo descrive The Economist in un pezzo dal titolo: “The Magical Misery Tour”. L’uomo che ha progettato questo safari urbano ha inserito come tappe: la casa del serial killer Marc Dutroux, la casa dove la madre di Magritte si suicidò e quella che definisce “la strada più deprimente del Belgio”. Altri casi esistono in Francia, dove una serie di cosid-
detti Greeters (dall’inglese to greet, “accogliere”) accompagnano gratis i turisti a visitare le più malfamate banlieue del Paese. La narrazione è ben sintetizzata da questo caso: una coppia sessantenne dell’Arizona sfida il portiere dell’albergo, che sconsigliava di andare a SaintDenis, e finisce di fronte alla basilica del quartiere a dire: “Splendida!”. Cosa spinga gli operatori turistici a organizzare questi tour, è abbastanza evidente. Più complesso è mettersi d’accordo su cosa spinga il Ghetto Tourist a praticare questo tipo di gite.
UNA CURIOSITÀ CHE ONDEGGIA tra il voyeurismo e l’apertura mentale da presa di coscienza, se non la compartecipazione da turismo responsabile. Oppure una forma di imperialismo, o comunque di espansione spaziale e conferma dello status quo. O ancora, il professor David Fennell della Brock University sostiene che si vada a os- servare lo stile di vita della marginalità in modo da potersi dire: «Quanto sono fortunato». In buona sostanza le posizioni interpretative si possono ridurre a due. Quella positiva apprezza l’esperienza culturale nel confronto con l’Altro e la sensibilità per la disuguaglianza. Quella negativa considera illusorio il confronto e consolatoria la sensibilità. Sarebbe bene iniziare a ragionarne anche in Italia, considerando che parlare di Ghetto Tourism significa parlare di un paio di mondi: quello sotterraneo e quello che scende a fotografarlo.
TOMMAS OGIAGNI, nato a Roma nel 1985, ha pubblicato due romanzi: L’ estraneo( Einaudi Stile libero ,2012) e Prima di perderti (Einaudi Stile libero, 2016)