PASSAPORTO
nome d’arte: Benji e Fede all’anagrafe: Benjamin Mascolo e Federico Rossi professione: boy band date di nascita: 20 giugno 1993 (Benji); 22 febbraio 1994 (Fede) album: 20:05 (2015), 0+ (2016), Siamo solo noise (in uscita il 2 marzo)
sioni del fenomeno. Nel 2016 il loro album 0+ è stato il decimo più venduto in Italia (sopra ai Pooh e a David Bowie, sotto a Ligabue e Tiziano Ferro). I loro venti “instore” – incontri con i fan nei negozi – hanno attirato 40mila persone. A Milano l’evento è durato nove ore perché si sono presentati in 4mila. Per lo più ragazzine, a volte scortate dai genitori. Prima del successo capitava che i due si esibissero nei ristoranti della natìa Modena (lo raccontano nel libro Vietato smettere di sognare, Rizzoli). All’epoca molti pensavano che non sarebbero andati lontano. E invece nel 2014 Benji e Fede hanno firmato con Warner e oggi legioni di adolescenti controllano ogni giorno i loro profili social in attesa del nuovo album Siamo solo noise (esce il 2 marzo). Popstar, si diceva una volta. Quando li incontro, mi chiedono subito cosa penso delle tracce del disco che ho ascoltato in anteprima. Ansiosi? Forse un pochino. Ma quando parlottano tra loro di una proposta commerciale («In cambio ci chiedono una foto e una storia su Instagram...») sembrano invece decisamente smaliziati.
Il video di Buona fortuna, il singolo che ha anticipato il nuovo album, è stato visto più di 9 milioni di volte in due mesi. Un buon numero. F: «Sì, siamo soddisfatti. Anche perché abbiamo notato che piace anche a persone più grandi rispetto ai nostri fan storici». B: «Non ha fatto subito il botto, non è una hit classica. Ma siamo contenti». Questo è il primo pezzo in cui tu, Federico, oltre che interprete, sei anche autore. Nel testo hai usato alcune frasi che ti diceva sempre tuo padre, mancato due anni fa. Che effetto ti fa sapere che sono state ascoltate da così tanta gente? F: «È una figata. Usando le sue parole, sento di avergli ridato voce, in qualche modo». Siete cambiati in questi anni? F: «Per forza! Quando abbiamo iniziato avevamo poco più di vent’anni. Tra una settimana ( oggi per chi legge, ndr) io ne compio 24, Benji a giugno ne fa 25». B: «Affrontiamo tematiche nuove. In questo album, ad esempio, c’è una canzone che parla della con- vivenza, un tema che prima non mi sarei mai permesso di trattare nei miei testi. Oggi la situazione è cambiata. Non convivo ancora, ma passo giorni interi con la mia ragazza ( l’attrice e modella Demetra Avincola, classe 1994, ndr)». Il nuovo album si intitola Siamo solo noise. Gioco di parole? B: «“Siamo solo noi”, cioè noi e i nostri fan. Ma anche “Siamo solo noise, rumore”, in senso autoironico». F: «Perché molti pensavano che fossimo solo una meteora...» B: «...solo rumore fastidioso e inutile. Ma noi non abbiamo mai pensato di essere una moda passeggera». F: «E poi c’è una terza accezione: nella vita se non fai rumore non lasci il segno. E questo è un concetto che ci rappresenta molto…» B: «…perché all’inizio della nostra carriera è stato proprio “facendo rumore”, sui social e nelle piazze, che ci siamo fatti notare quando nessuno ci cagava, passami il termine». Non siete più due esordienti. B: «No. E non è che tutti gli artisti che esordiscono da giovani arrivano al terzo album, eh…» Eravate preoccupati di non arrivare al terzo album? B: «No, perché conosciamo il nostro potenziale e perché il successo l’abbiamo costruito piano piano. Secondo me, più tempo ci metti a guadagnare qualcosa, più è difficile perderla all’improvviso». La prima traccia dell’album, Da grande, inizia con le voci dei bambini del reparto oncologico dell’ospedale di Modena. B: «A Natale siamo andati a trovarli ed è stato molto emozionante. Uno pensa di fare questo genere di cose per il bene degli altri, ma alla fine è più che altro un bellissimo regalo verso se stessi». F: «Dopo quell’esperienza ci è sembrato naturale rivolgerci a loro per i cori di Da grande. Poi è nata l’idea di registrare anche le loro voci per l’inizio della canzone. Gli abbiamo chiesto di raccontare cosa vogliono fare da grandi. La storia più bella è quella di una bimba di 5 anni che sogna di fare la
dottoressa per salvare la vita delle bambine. Proprio perché lei stessa è stata salvata dai medici». Il prossimo singolo si chiama On demand. Perché questo titolo? B: «Il concept del brano è che in questo periodo della storia in cui tutto, dalla tv al cibo, è a portata di clic, l’unica cosa che non possiamo controllare è la vita». F: «È orecchiabile, ma fa anche riflettere. È stato bello giocare a immaginare come sarebbe la vita “on demand”». Ma voi vorreste poter controllare la vita in un clic? BeF( in coro): «Nooo!» F: «Però vorrei avere un giorno all’anno in cui rivivere un avvenimento a mia scelta». Da spettatore esterno? F: «No, da protagonista! Provando le stesse sensazioni! Tanto vale farla sporca, no?» ( ride) Nel vostro lavoro c’è qualche elemento di casualità? F: «Qualcosa sì: la voce e la chitarra della canzone Niente di speciale, per esempio, le abbiamo registra- te nel nostro studio a Modena. Non sapevamo che quella sarebbe stata la versione definitiva. Erano le 5 del mattino ed era la terza volta che provavo a cantarla…» B: «…e io la suonavo tutta tipo per la seconda volta!» F: «Tra l’altro quel brano è nato da un messaggio vocale che mi ha mandato Benji all’una di notte!» ( Benjamin prende il telefono e insiste perché io ascolti la prima parte del messaggio, ndr). Avete già citato due orari notturni… F: «Non è un caso: tante canzoni del disco sono nate di notte». B: «Spesso di giorno siamo assorbiti da altro, così capita di andare in studio con la band solo dopo cena. E a quel punto ci mettiamo al lavoro e poi finisce che usciamo alle 8 del mattino e andiamo a fare colazione!»
Breve pausa per un sorso d’acqua (me ne versano un bicchiere: giovani gentiluomini!). Prima dell’intervista ho studiato gli account delle ammiratrici di Benji e Fede, le cosiddette “dreamers”. I loro post mi
hanno ricordato cosa vuol dire provare la devozione assoluta tipica dell’adolescenza. Ma ho notato anche i commenti aggressivi sotto le foto di Benji e della fidanzata e le richieste insistenti di attenzione («È da sei giorni che non postate! Dove siete? Vi siete scordati di noi?»).
Come spieghereste a chi non lo sa cos’è il “fandom”? F: «È la cerchia più stretta dei fan. Il nostro fandom ci sostiene sempre, ci dà dei consigli, a volte ci organizza delle sorprese. Il fandom sa cose di noi che neanche noi sappiamo di sapere…» B: «Una volta abbiamo postato sui social una foto scattata in un hotel a Padova, senza precisare quale. Si vedeva solo la tenda della finestra. Il fandom ha cercato su Google le foto di tutti gli hotel della città fino a rintracciare quello che aveva quel tipo di tende con quel tipo di fantasia. E così ci hanno trovato». Ma è tutta al femminile questa cerchia? F: «Abbiamo anche fan maschi. Stando alle statistiche dei nostri profili social personali, sono il 35% dei nostri follower. Ma i ragazzi li vediamo ai concerti o ai firmacopie, non vengono sotto il nostro hotel a urlare nel mezzo della notte». Com’è il vostro rapporto con il fandom? F: «Non lo diamo per scontato. Una persona potrebbe anche limitarsi a mettere mi piace alle foto e a scaricare illegalmente la nostra musica senza venire agli eventi, senza comprare l’album… Se siamo diventati quello che siamo è grazie al fandom. B: Apprezziamo il 90 per cento delle cose che i fan fanno per noi. Ma ci sono anche gli eccessi. Una volta mi hanno citofonato a casa la sera di Natale, mentre cenavo con la mia famiglia. In casi simili bisogna dirlo apertamente: ragà, così non va bene. Abbiamo diritto alla nostra privacy». Come è nato questo dialogo diretto e continuo con i vostri fan sui social? B: «Per necessità. Quando abbiamo iniziato a fare musica insieme, nel 2010, non avevamo manager, né casa di produzione. Scrivevamo i pezzi, registravamo le canzoni nella soffitta di un amico, cercavamo di promuoverci con i nostri mez- zi, compresi i social. Non avevamo modelli da imitare». F: «Trasformare i “mi piace” in fan reali non è una cosa banale! Tanta gente ha moltissimi like che rimangono solo dei like: organizzano gli eventi e non ci va nessuno. A noi sembra giusto dare qualcosa ai nostri fan, in cambio di tutto quello che loro fanno per noi». Gestite ancora voi i vostri social? BeF( in coro): «Sì, assolutamente!» Allora vi faccio una domanda. Secondo voi i ragazzi stanno lasciando Facebook? B: «Sììì!» F: «I più giovani neanche si iscrivono. Per noi è stato un duro colpo». B: «Addirittura! Dai, non fare il romantico!» F: «Be’, a me dispiace! Noi abbiamo iniziato da Facebook. E fino al 2016 era una figata. Oggi però i post delle pagine raggiungono sempre meno persone». B: «E poi Facebook non è più una novità, è diventato meno attrattivo!» F: «Esatto. Così tanti si spostano su Instagram, che è più diretto e molto più giovane. Ce l’hanno anche ragazzini di 9 o 10 anni». B: «Quando ero più giovane e ho iniziato a fare musica io avevo MySpace, che era il modo con cui chi non aveva un’etichetta cercava di farsi conoscere. Poi è scomparso, è stato mangiato da Facebook. Ora Facebook è stato mangiato da Instagram e tra un po’ Instagram sarà mangiato da qualcos’altro… Poco importa: cambia il mezzo con cui comunichiamo, ma la cosa che conta è il messaggio». Si parla molto di social e fake news. Cosa ne pensate? B: «C’è tanta esagerazione. Secondo me un ragazzo della nostra età, o più giovane, è in grado di distinguerle tranquillamente dalle notizie vere. È l’adulto, la persona che non è cresciuta con i social, che non ci riesce». E il cyberbullismo? B: «È un problema molto serio. Le conseguenze possono essere gravi: un ragazzino bullizzato rischia la depressione, nei casi più estremi il suicidio. Ci vorrebbe più educazione. E più controllo, senza arrivare alla censura: sui social non ci dovreb-
«Fake news? Esagerazioni. Un ragazzo della nostra età è in grado di distinguerle tranquillamente dalle notizie vere. È l’adulto che non ci riesce»
be essere l’anarchia». F: «Anche perché tante persone che scrivono cose orribili online manco ci mettono la faccia! In generale quello del bullismo è un tema che ci sta molto a cuore: abbiamo voluto dedicargli il video di Buona fortuna. Il messaggio è: usate le vostre passioni per affrontare e superare le difficoltà. Perché vinci quando riesci a fregartene di quello che dicono i bulli. Ma non è facile, soprattutto per chi non ha un carattere forte. Poi certo, un videoclip non basta, ci sarebbe da parlarne per ore…» Manca poco al 4 marzo. Pensate che la vostra generazione andrà a votare? B: «No. C’è vecchiume. I politici non sono interessati ai giovani e così i giovani non sono interessati alla politica». F: «Come fanno i diciottenni, che non parlano di queste cose né a scuola né con gli amici, a formarsi un’opinione? Certo, alcuni giovani si appassionano. Ma sono eccezioni». B: «Prevedo che molti ragazzi non andranno a votare. Ma spero di sbagliarmi: è un diritto e un dovere». Voi voterete? B e F: «Sì! Ma il voto è segreto».
L’intervista è finita. Mentre raccolgo le mie cose, loro parlano del 4 marzo: «Dove siamo quel giorno? Abbiamo un firma-copie? Ma in quale città?». Mi permetto, umilmente, di lanciare un appello al fandom: lasciate a Benji e Fede – anzi, Benjamin e Federico – un giorno libero per andare a votare!
«Come fanno i diciottenni, che non parlano di politica né a scuola né con gli amici, a formarsi un’opinione? Alcuni si appassionano, ma sono eccezioni»