Nella cantina dove nasce il miglior pesto del mondo
LA FILA SI INTRAVEDE FIN GIÙ SUL CARRUGGIO e poi sulle scale, mentre risali dal Porto Antico e ti dirigi verso i vicoli e il centro. Una fila non giustificata dall’insegna, che è poco invitante; e nemmeno dal nome del locale, Cavour 21, che è ancor meno evocativo. Ma ci sarà più di un motivo se innanzitutto gli autoctoni sgomitano per entrare (qui non si prenota, né al telefono, né tantomeno online). E se da Milano bisogna prendere il treno, scendere qui a Genova e rotolare ancora più giù, tra quei vicoli e quei carruggi, per ritrovare l’Osteria primigenia. Genere moribondo, su in Lombardia, a causa della “peste da gourmet”, dove basta abbinare la parolina magica e qualsiasi cibaria, anche una focaccia alle olive, diventa articolo d’argenteria; e definitivamente ucciso dalle pseudo trattorie con intitolazioni parentali (e dubbie provenienze). No, qui in piazza Cavour ci si affolla in questo localino, che sembra una cantina con tutte quelle volte a botte e i tavoli stretti che invitano alla promiscuità ciarliera, innanzitutto perché qui si mangia «il miglior pesto del mondo», come recita un cartello in bella vista. E non è mero autoincensamento: chi scrive è un devoto della cucina ligure e il pesto, è il caso di dirlo, l’ha provato in tutte le salse.
SÌ, QUI NON HANNO RIVALI il profumo di questo basilico, colto nell’entroterra; la consistenza perfetta, né molliccia da abusi oleici né troppo spessa come capita quando l’equilibrio tra aglio e/o pinoli è cattivo. E infine la freschezza del tridente migliore: trenette, trofie, lasagne. Ma di questa tradizione, così povera, così ricca, c’è anche tutto il corredo: pansoti e cundigiun, baccalà fritto e stoccafisso accomodato, piatti antichi, una delizia via l’altra. E la focaccia, certo: senza olive, ma con le cipolle, come da secoli s’usa a Zena. Senza entrare in gioielleria.