DISCESE ARDITE
I piccoli sciatori di Bamiyan
Era il 2009 quando un giornalista svizzero in Afghanistan, vedendo la neve nella zona dove sorgevano i Buddha distrutti dai talebani, pensò di organizzare una gara di sci. Ora che gli attentati hanno ricominciato a far paura nel resto del Paese, in questa provincia (ancora) relativamente tranquilla i bambini non smettono di sognare le Olimpiadi invernali con i loro improvvisati sci in legno
ALLEVAVANO CAPRE sulle montagne intorno a Bamiyan. Salgono a piedi lungo i pendii: due ore di salita, due minuti di discesa nella neve fresca. Legni e pezzi di plastica appiccicati ai piedi. Sono diventati gli sciatori più famosi dell’Afghanistan. Forse gli unici. Un mito, per i bambini che vedete scivolare in queste pagine, fotografati dal reporter di guerra Andrew Quilty con i loro incredibili legni artigianali ai piedi. Alishah Farhang e Sajjad Husaini, 27 e 25 anni, resteranno nella storia: i primi afghani a partecipare alle Olimpiadi invernali. «Nel 2011 ho visto per la prima volta degli europei scendere dai nostri pendii, e non sapevo neppure come si chiamassero quelle cose attaccate alle scarpe», ha raccontato Sajid a PyeongChang. Lui e Alishah hanno gareggiato in slalom, e alzi la mano chi ha notato se sono arrivati al traguardo e con quale distacco. Negli ultimi tre anni si sono allenati in Corea, hanno trascorso gli inverni in Svizzera, hanno frequentato le piste di Santa Caterina Valfurva. Avevano come sponsor una nota marca di attrezzatura sportiva, dormivano in un ostello dell’Engadina ospiti del Bamiyan Ski Club di St. Moritz. Un incredibile gemellaggio tra una delle località turistiche più chic del mondo e un angolo remoto di Afghanistan noto
soprattutto per quello che ha perso: le grandi statue del Buddha fatte saltare in aria dai talebani nel 2001. Una valle a 2.550 metri di altezza, abitata dal gruppo etnico degli Hazara (perseguitati fino alla caduta del regime talebano nel 2001), una popolazione di 100 mila abitanti 240 chilometri a nord-ovest della capitale Kabul dove l’energia elettrica è arrivata nel 2014. Adottati dagli amici svizzeri, Alishah e Sajjad hanno avuto il loro momento di gloria. Ci piacciono le storie degli “atleti per caso” provenienti da luoghi esotici. Sono quasi un genere giornalistico: la squadra di bob del Senegal, il discesista giamaicano… Mentre prendiamo la seggiovia coperta lamentandoci perché i seggiolini non sono riscaldati, pensiamo con soddisfazione agli ori della Goggia e alla favola dei pastori-sciatori di Bamiyan. Non fa più notizia il fatto che un posto come l’Afghanistan abbia un abbonamento ormai trentennale alla guerra. Ma ci stupisce che sia un Paese di montagne innevate senza ski-lift. Dalle nostre piste sovraffollate, guardiamo con una certa invidia alle distese immacolate e deserte della catena di Koh-e-Baba, oltre le grotte aride e orfane dei famosi Buddha giganti. Per Andrew Quilty dev’essere stato un sollievo arrivare lì d’inverno e seguire questi ragazzi, gli sciatori afghani dilettanti che nessun giornalista giapponese ha mai intervistato e che mai scenderanno dal Diavolezza. Il fotoreporter australiano arriva in Afghanistan nel 2013, quando buona parte della comunità internazionale ha cominciato a sbaraccare. Il suo programma è restare per pochi giorni. E invece Kabul diventa la sua casa. Gira il Paese, documenta la vita e le tragedie, le ambulanza-bomba che fanno strage nel cuore della capitale, i bambini denutriti di Lashkar Gah e quelli che fanno skateboard in un centro ricreativo di Kabul.
In alto, Dawood (7 anni) fotografato con i suoi piccoli sci ancora innevati; sotto, Samadche, 13 anni, mostra i suoi attrezzi che tiene legati alle scarpe con normali lacci da scarpe
SKATEBOARD SOTTO LE BOMBE. Sci e kamikaze. Alla pacificazione dell’Afghanistan nessuno crede più. I tale-
bani sono attivi sul 70% del territorio, e fanno a gara con la branca locale dell’Isis per chi mette a segno l’attentato più cruento. Bamiyan è ancora un’isola relativamente tranquilla, dove le forze di sicurezza afghane tengono lontana la minaccia dei fondamentalisti. Andarci d’inverno dev’essere uno spettacolo. Come vedere i dintorni di Kabul sotto la neve. Un’immagine che mi è rimasta impressa: una distesa di vecchi carri armati russi coperti di bianco, con i bambini che si rincorrono sotto i cannoni.
In alto, un gruppo di ragazzi con sci e racchette in legno nella zona innevata di Aub Bala, che in lingua Baluchi significa Acqua Alta
LA NEVE È COMPAGNA (a volte nemica) degli afghani. Ma nessuno aveva mai pensato di scivolarci sopra con due legni ai piedi. Un giornalista svizzero di nome Christoph Zuercher nel 2009 lascia Kabul e visita la valle di Bamiyan. Dal tetto del suo albergo, Zuercher osserva le orbite cave dove sorgevano i Buddha e dietro di loro i picchi innevati del Koh-e-Baba. Gli viene un’idea folle. Organizzare per l’anno dopo una gara di sci. «All’inizio è stata una catastrofe» ha raccontato Christoph alla rivista Adventure. «Nessuno voleva saperne di sciare. Un’avversione data anche da un calcolo molto pratico: e se ci si fa male? Gli ospedali di Bamiyan sono quelli che sono». E in pratica non ci sono. Eppure, nonostante le difficoltà, nasce il Bamiyan Ski Club. Il minuscolo centro del circo bianco afghano è poco fuori Bamiyan e si chiama Aub Bala, che in lingua Baluchi significa Acqua Alta. Lì, ogni primavera, si corre l’Afghan Ski Challenge al quale Sofia Goggia probabilmente non parteciperà mai (ma la ragazza è imprevedibile, quindi chissà!). E pensare che tutto è cominciato con qualche sciatore dalla Svizzera. I ragazzini afghani osservavano con attenzione quello strano gioco degli occidentali. I primi a voler provare sono stati due giovanissimi pastori. I loro sci sono di legno, ben più rudimentali di quelli che vediamo appesi alle pareti dei rifugi sulle Dolomiti. Come abbiamo raccontato, due atleti afghani sono arrivati alle Olimpiadi invernali in Corea. Decine di ragazzini invece non usciranno mai dalla valle di Bamiyan. Ma sono loro i veri campioni di questa storia.