PASSAPAROLA
Una nevicata, un’amica, un funerale e la paura di vendere l’anima al diavolo
L’AUTORE DI QUESTO impressionante romanzo d’esordio è Carlo Carabba, non ha ancora quarant’anni ma è già molte cose. È un poeta (subito laureato, come avrebbe detto Montale, segnalato tra i migliori della generazione, il migliore per me) e lo è da quando era poco più di un ragazzino. È un dirigente editoriale, il capo della narrativa italiana Mondadori, che decide i romanzi da pubblicare o da non pubblicare. È un brillante laureato in filosofia. È il figlio di una scrittrice raffinata, Elisabetta Rasy, e di un critico cinematografico (il mio preferito), Claudio Carabba, che per anni ha allietato queste pagine. Ed è anche il fratello di Enzo Fileno Carabba (scrittore, tra le altre cose, del bellissimo romanzo La zia subacquea e altri abissi famigliari). Ma ora, vi prego, dimenticatevi i suoi titoli, le sue benemerenze e appartenenze e concentratevi su Carlo Carabba quando aveva quattro/cinque anni e si imbatté, tenuto per mano da una donna che nel ricordo gli appare senza faccia (come gli inquietanti abitanti di un lontano pianeta in un’avventura di Topolino ed Eta Beta), con la celebre nevicata a Roma del 1985 tanto da restarne colpito in modo indelebile. Venticinque anni dopo, Carlo sta aspettando di rivivere una giornata gloriosa come quella del 6 gennaio 1985, la aspetta con trepidazione perché è convinto che si tratterà di un’occasione speciale. Ed effettivamente, quando quella giornata arriva, succede qualcosa di decisivo nella sua vita. Si materializza quella cosa che un grande scrittore ha chiamato «la linea d’ombra». Come un giovane uomo, il coinvolgen- te e sconvolgente debutto romanzesco di Carabba, si può leggere alla Proust (sono abbondanti i richiami allo scrittore della Recherche) e si può leggere alla Conrad (domina la metafora del più insidioso dei riti di passaggio). In entrambi i casi il
romanzo regge il peso schiacciante ed enorme di quei modelli. Se lo leggete alla Proust, gusterete i ricordi dell’infanzia (come quello citato della prima neve) e dell’adolescenza del protagonista, il rapporto con le due nonne, le sue paure di bambino (con terrori notturni ispirati da rivisitazioni psicoanalitiche dei cartoni animati di Jessica Rabbit). Se lo leggete alla Conrad, apprezzerete lo stile con cui l’autore sa pronunciare l’addio doloroso a se stessi che quella stagione della vita impone. E, comunque, alla fine vi perderete nel labirinto che Carabba costruisce descrivendo ogni digressione della mente e del cuore dell’eroe della storia. I fatti raccontati sono presto detti. La migliore amica del protagonista muore in seguito a un incidente stradale. Il giorno fissato per il funerale a Roma coincide con l’appuntamento che è stato fissato a Milano al protagonista per firmare il suo primo contratto di lavoro. Una maledetta coincidenza che significa molto di più dell’incrocio già fatale di date e orari. Si tratta di scegliere tra restare o partire, tra il funerale e il contratto, sapendo (scoprendo penosamente) che in gioco c’è molto di più: l’irrompere della morte nella vita; la fine della fede nell’invulnerabilità della giovinezza; il dubbio sulla sincerità nel dolore; il sospetto che sia in gioco una specie di compravendita dell’anima. Non vorrei dare l’idea di un libro troppo austero. Lo è, ed è giusto che lo sia: la posta in palio lo pretende. Ma è anche un libro che non si risparmia civetterie letterarie (le splendide ed elaborate similitudini, campionature “dantesche” che restituiscono stati d’animo e comportamenti dei personaggi). Ed è, ancora, un racconto che contiene controscene di spietata, crudele comicità (sempre egoriferita). Questo romanzo è come uno di quei bellissimi gioielli da lutto che si usavano nell’Inghilterra vittoriana e che erano assieme ornamento e castigo.