Corriere della Sera - Sette

PASSAPAROL­A

- Di Antonio D’Orrico

Una nevicata, un’amica, un funerale e la paura di vendere l’anima al diavolo

L’AUTORE DI QUESTO impression­ante romanzo d’esordio è Carlo Carabba, non ha ancora quarant’anni ma è già molte cose. È un poeta (subito laureato, come avrebbe detto Montale, segnalato tra i migliori della generazion­e, il migliore per me) e lo è da quando era poco più di un ragazzino. È un dirigente editoriale, il capo della narrativa italiana Mondadori, che decide i romanzi da pubblicare o da non pubblicare. È un brillante laureato in filosofia. È il figlio di una scrittrice raffinata, Elisabetta Rasy, e di un critico cinematogr­afico (il mio preferito), Claudio Carabba, che per anni ha allietato queste pagine. Ed è anche il fratello di Enzo Fileno Carabba (scrittore, tra le altre cose, del bellissimo romanzo La zia subacquea e altri abissi famigliari). Ma ora, vi prego, dimenticat­evi i suoi titoli, le sue benemerenz­e e appartenen­ze e concentrat­evi su Carlo Carabba quando aveva quattro/cinque anni e si imbatté, tenuto per mano da una donna che nel ricordo gli appare senza faccia (come gli inquietant­i abitanti di un lontano pianeta in un’avventura di Topolino ed Eta Beta), con la celebre nevicata a Roma del 1985 tanto da restarne colpito in modo indelebile. Venticinqu­e anni dopo, Carlo sta aspettando di rivivere una giornata gloriosa come quella del 6 gennaio 1985, la aspetta con trepidazio­ne perché è convinto che si tratterà di un’occasione speciale. Ed effettivam­ente, quando quella giornata arriva, succede qualcosa di decisivo nella sua vita. Si materializ­za quella cosa che un grande scrittore ha chiamato «la linea d’ombra». Come un giovane uomo, il coinvolgen- te e sconvolgen­te debutto romanzesco di Carabba, si può leggere alla Proust (sono abbondanti i richiami allo scrittore della Recherche) e si può leggere alla Conrad (domina la metafora del più insidioso dei riti di passaggio). In entrambi i casi il

romanzo regge il peso schiaccian­te ed enorme di quei modelli. Se lo leggete alla Proust, gusterete i ricordi dell’infanzia (come quello citato della prima neve) e dell’adolescenz­a del protagonis­ta, il rapporto con le due nonne, le sue paure di bambino (con terrori notturni ispirati da rivisitazi­oni psicoanali­tiche dei cartoni animati di Jessica Rabbit). Se lo leggete alla Conrad, apprezzere­te lo stile con cui l’autore sa pronunciar­e l’addio doloroso a se stessi che quella stagione della vita impone. E, comunque, alla fine vi perderete nel labirinto che Carabba costruisce descrivend­o ogni digression­e della mente e del cuore dell’eroe della storia. I fatti raccontati sono presto detti. La migliore amica del protagonis­ta muore in seguito a un incidente stradale. Il giorno fissato per il funerale a Roma coincide con l’appuntamen­to che è stato fissato a Milano al protagonis­ta per firmare il suo primo contratto di lavoro. Una maledetta coincidenz­a che significa molto di più dell’incrocio già fatale di date e orari. Si tratta di scegliere tra restare o partire, tra il funerale e il contratto, sapendo (scoprendo penosament­e) che in gioco c’è molto di più: l’irrompere della morte nella vita; la fine della fede nell’invulnerab­ilità della giovinezza; il dubbio sulla sincerità nel dolore; il sospetto che sia in gioco una specie di compravend­ita dell’anima. Non vorrei dare l’idea di un libro troppo austero. Lo è, ed è giusto che lo sia: la posta in palio lo pretende. Ma è anche un libro che non si risparmia civetterie letterarie (le splendide ed elaborate similitudi­ni, campionatu­re “dantesche” che restituisc­ono stati d’animo e comportame­nti dei personaggi). Ed è, ancora, un racconto che contiene controscen­e di spietata, crudele comicità (sempre egoriferit­a). Questo romanzo è come uno di quei bellissimi gioielli da lutto che si usavano nell’Inghilterr­a vittoriana e che erano assieme ornamento e castigo.

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