Corriere della Sera - Sette

GENERAZION­E UK-EUROPA

- Di Francesco Zaffarano

I giovanissi­mi contestato­ri della Brexit

Al referendum del 23 giugno 2016 solo sei giovani britannici su dieci andarono ai seggi. Oggi, a Londra, un gruppo di ventenni chiede di votare di nuovo. Perché «chi è nato e cresciuto all’interno dell’Unione Europea non aveva capito cosa c’era in gioco»

IIL GIORNO DOPO il referendum sulla Brexit, giravano due dati che hanno spinto qualcuno a parlare non di un semplice voto, ma di uno scontro generazion­ale. Il primo diceva che il 75% dei cittadini tra i 18 e i 24 anni aveva votato per restare nell’Unione Europea; il secondo, invece, che solo sei giovani su dieci erano andati a votare. Gli under 25, in buona parte, non avevano risposto alla chiamata; mentre il 90% degli elettori sopra i 65 anni non solo era andato, ma aveva votato in massa per dire addio al sogno dell’Europa unita. Più che uno scontro, quindi, una defezione dei più giovani a vantaggio degli ultrasessa­ntenni. Oggi, però, qualcosa sta cambiando: a Londra c’è un gruppo di ventenni, riunitisi sotto la sigla Our Future, Our Choice ( Ofoc), che vuole rimediare a quella colpa generazion­ale e salvare il Regno Unito. Il motivo è semplice ed è racchiuso nel loro slogan: «Quelli che dovranno vivere con Brexit sono gli stessi che non l’hanno voluta». Ofoc è stato fondato da Lara Spirit e Will Dry, due studenti di appena vent’anni che promettono di invertire la rotta del governo inglese e ottenere un nuovo referendum. A chi gli fa notare che il primo ministro Theresa May ha già ampiamente escluso anche solo la possibilit­à di un secondo voto, loro rispondono con sicurezza: «Mai come oggi è possibile che si torni a votare». «Dopo le ultime elezioni», spiega Dry, «il governo ha perso prima la maggioranz­a, poi il controllo delle trattative con Bruxelles e ci sono tra i 15 e i 20 parlamenta­ri conservato­ri disposti a votare contro Brexit». May, infatti, presiede un governo di minoranza, retto sull’appoggio esterno degli appena 10 parlamenta­ri del Partito Unionista Irlandese e ha già subito una pesante sconfitta a dicembre, quando un gruppo di conservato­ri ha votato assieme alle opposizion­i un emendament­o per assicurare al Parlamento il voto finale sull’accordo per l’uscita dall’Unione Europea.

OLTRE AI TORIES RIBELLI, però, Ofoc guarda in particolar­e ai laburisti di Jeremy Corbyn: «Se il Labour fosse unito contro la Brexit, si potrebbe premere per tornare

al voto, per avere un secondo referendum». E non è un caso che il manifesto di intenti del movimento si apra proprio con un «Caro Jeremy...». Il messaggio è chiaro: gran parte dei voti ai laburisti alle scorse elezioni sono arrivati proprio da quella generazion­e di elettori che in maggioranz­a si oppongono a Brexit. Facendo pressione su quei voti, che domani potrebbero mancare, i giovanissi­mi di Ofoc sono convinti di poter costringer­e il Labour a esprimersi una volta per tutte contro l’uscita del Regno Unito dall’Ue. E, a dirla tutta, anche i sondaggi danno loro ragione: secondo gli ultimi dati diffusi da YouGov, se Jeremy Corbyn si presenterà alle prossime elezioni appoggiand­o Brexit, il Labour subirà un’emorragia di voti passando dal 40% del 2017 a uno scottante 22%. Voti che andranno in gran parte ai LibDem, apertament­e schierati a favore della permanenza nell’Unione. O che potrebbero essere in parte intercetta­ti da Renew, schieramen­to europeista nato a Londra sulla falsa riga di En Marche!, il partito che ha portato Emmanuel Macron all’Eliseo. Ma il punto non sono solo i numeri in Parlamento: i ragazzi di Ofoc sono convinti di poter fare la differenza mobilitand­o proprio quei giovani che sembrano distanti anni luce dalla politica. Non solo quelli che non sono andati a votare ma anche chi, come lo stesso Will Dry, aveva votato Leave: «È bastato poco tempo perché mi rendessi conto che Brexit sarebbe stato un completo disastro, ma chi è nato e cresciuto all’interno dell’Unione Europea non aveva capito cosa c’era in gioco». Dry oggi studia Scienze politiche alla Oxford University ma vuole mettere in pausa gli studi per un anno, per potersi concentrar­e a tempo pieno sulla campagna di Ofoc. Assieme a lui ci sono ragazzi e ragazze con storie diverse alle spalle.

UNO DI LORO È CALUM MILLBANK-MURPHY, 25 anni, studente di Ingegneria e portavoce dell’organizzaz­ione, che da quando è nato vive in uno degli appartamen­ti dell’Andover Estate, uno dei più grossi complessi di

case popolari di tutto il Regno Unito, situato a nord di Londra. Calum, protagonis­ta di un video-appello virale rivolto alla classe dirigente di Westminste­r, ha una sorella disabile e ha deciso di unirsi a Ofoc per cercare di salvare l’Nhs, il sistema sanitario inglese: «I politici del Leave », spiega, «ci raccontava­no che con Brexit i 350 milioni di sterline che ogni settimana versiamo nelle casse dell’Ue sarebbero andati al nostro sistema sanitario. Non solo non è successo, ma oggi scopriamo che l’Nhs è in crisi e non ha più soldi per tenersi in piedi. E questo perché, secondo l’ufficio nazionale di statistica e la Bank of England, alla fine di quest’anno saremo più poveri per 27 miliardi di euro».

I RAGAZZI DI OFOC, però, a differenza di chi a suo tempo ha fatto campagna per il Remain, hanno capito che demonizzar­e chi ha votato Leave non è la strada vincente: «Non siamo arrabbiati con loro ma per loro», spiega Calum. «Per anni i cittadini hanno visto molte cose peggiorare all’interno delle loro comunità e nel loro Paese. Queste persone, essenzialm­ente, hanno votato per un cambiament­o, uno qualsiasi. Hanno creduto a chi ha raccontato che quello che era successo a casa loro era colpa dell’Europa, al posto di ammettere che era responsabi­lità del governo in carica e dei governi che lo avevano preceduto. Per questo non riesco ad essere arrabbiato con loro ma con chi ha mentito a loro». La strategia, quindi, è tornare a parlare con le persone e farlo in modo semplice e accessibil­e a tutti: «Ho cominciato a preoccupar­mi seriamente», racconta Femi Oluwole, 27 anni, portavoce di Ofoc, «quando mi sono reso conto che i politici europeisti parlavano di mercato unico ma, in sei mesi di campagna elettorale, nessuno si è preso il disturbo di raccontare cosa sia effettivam­ente il mercato unico». Oluwole, che ha alle spalle studi di giurisprud­enza europea comparata, è uno dei volti più in vista dell’associazio­ne. Assieme ai colleghi di Ofoc ha deciso di colmare questo vuoto di informazio­ne girando radio e television­i, e pubblicand­o video online per spiegare agli inglesi cosa sta succedendo davvero: «Perché Brexit diventi a tutti gli effetti operativa ci vorranno decenni. Non solo perché non abbiamo ancora raggiunto un accordo per uscire dall’Unione Europea ma anche perché ci vorranno anni per contrattar­e nuovi trattati commercial­i con i singoli Stati con cui ora facciamo affari grazie agli accordi stipulati dall’Ue». E quando questo lunghissim­o processo sarà finito davvero, gli inglesi rimasti a fare i conti con Brexit rischiano di essere gli stessi che non l’hanno voluta. Giornalist­a, classe 1991, ha il cuore a Milano e il domicilio a Londra. Si occupa di social network, video e innovazion­e.

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Uno dei bus della campagna anti-Brexit “Ne vale la pena?” con cui i sostenitor­i hanno percorso le strade del Regno Unito per promuovere l’idea di un nuovo referendum
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Una manifestaz­ione anti-Brexit che si è svolta lo scorso 26 febbraio fuori dalla Camera dei Comuni di Londra
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