LA MODA? NON SI LASCI OSSESSIONARE DAI FOLLOWER
Un’ora nella frenesia milanese con il brasiliano Lee Oliveira, fotografo di street style e digital editor per il canale Fashion del New York Times. Per parlare di come Instagram e la velocità stiano cambiando il mondo della moda. «Gli influencer devono avere competenze», dice. «E la critica e le analisi sono importanti. Il digitale non può sostituirle»
«LA MODA AMA INSTAGRAM perché soddisfa il suo bisogno di velocità. Il web e i social hanno imposto ritmi serrati». La velocità è il motivo conduttore dell’incontro con Lee Oliveira. Trentacinque anni, brasiliano, fotografo di street style e digital editor per il New York Times, per cui cura, con altri fotografi e stylist, l’account Instagram del canale moda: 2,4 milioni di follower. Lui, di frenetico, non ha nulla. Sistema il giaccone con stampa militare e si toglie il cappellino dei New York Yankees. Inizia a parlare con tono pacato in uno dei ristoranti California Bakery, catena nota per i suoi brunch. Sarà il cameriere a ricordarci che la rapidità conta anche fuori dalla galassia glamour. Più volte cercherà il mio sguardo picchiettandosi l’orologio sul polso, come a dire: «Il tempo sta scadendo» Dalle finestre sulla strada vediamo qualche fiocco di neve cadere. Il gelo avvolge Milano, ma non ferma la domenica della settimana della moda. «Non sono un influencer», precisa Lee mentre ordina Pancake con salmone e crema di formaggio. «Certo, pubblico post su un account seguito da milioni di persone, ma io sono un fotografo. Quello che faccio è catturare i look più interessanti degli invitati alle sfilate, a prescindere dai marchi che indossano, e poi quelli proposti dagli stilisti sulle passerelle». «Una volta editavo e caricavo le foto sul mio blog. Ci voleva un giorno almeno. Con Instagram posso farlo in tempo reale». Allora il social fotografico e i suoi influencer hanno rimpiazzato il giornalismo di moda? «Assolutamente no», risponde sicuro. «Ci vuole collaborazione tra i vari media. La moda non può più prescindere dal digitale, è vero, ma nemmeno dalle grandi firme di quotidiani e riviste. Il primo porta velocità e raggiunge il pubblico dei mil-
lennials, che legge poco e passa molto tempo sugli smartphone. Le firme danno visione e critica. Hanno qualcosa da insegnare, grazie alla loro esperienza, sanno interpretare le tendenze. Il mondo del fashion oggi ha bisogno di entrambe le cose. Voglio poter vedere subito gli show degli stilisti e poi leggerne un’analisi approfondita».
LA NOSTRA CLESSIDRA VIRTUALE si sta svuotando. Mi accorgo che Lee non è ancora riuscito ad addentare un solo boccone. Mi dice che ha fatto comunque una colazione abbondante. Poi arriva al punto. «Instagram è una grande occasione per i creativi. Si possono fare cose bellissime, raggiungere milioni di persone. Il risvolto negativo è che può diventare l’applicazione pratica dei 15 minuti di celebrità teorizzati da Andy Warhol. Per molti è solo reality in cui raccontare la propria vita privata, postare foto con il proprio cagnolino o farsi selfie con filtri buffi». Oliveira applica la stessa distinzione agli influencer. Alcuni danno valore aggiunto perché hanno competenze. Sono seguiti da milioni di persone, ma prima di tutto sono fotografi, stylist, editor o imprenditori. Qualche esempio? La nostra star da esportazione Chiara Ferragni, la creatrice di borse Tina Craig, il blogger Brian Boy, l’account ironico Manrepeller. «Altri influencer, invece, vogliono solo mettersi in mostra, partecipare agli eventi, ricevere omaggi. Ma non hanno conoscenza del sistema moda», argomenta. Vengono pagati? «Collaborando con vari marchi magari guadagnano buone cifre, ma per periodi limitati. Questo mondo è veloce e restare sul mercato non è semplice». Nemmeno restare in un locale milanese per un’ora sembra facile. Ci invitano a liberare il tavolo. Per
continuare l’intervista, accompagno Lee verso la prossima sfilata. Saliamo su una macchina con autista, direzione Palazzo Reale. Mi racconta un aneddoto. «Ero a uno dei défilé più importanti della settimana della moda parigina. Nell’ambita prima fila erano sedute due giovani influencer. Parlavano tra loro: non conoscevano nemmeno il nome del designer del marchio che presentava la nuova collezione. Ecco, mi chiedo a cosa porti investire in queste persone. Qual è il ritorno? Un post identico a mille altri con qualche capo omaggio e stories (brevi video ndr) della passerella che si cancellano dopo 24 ore?». «Ci sono giovani creativi, di talento, in grado di illuminare un brand in modo innovativo e altri che sono semplicemente degli ambassadors: indossano qualcosa perché lo hanno ricevuto, senza aggiungere nulla». Siamo arrivati a destinazione. Le signore della moda sfidano il freddo con cappotti aperti e sandali ai piedi. «Le PR a volte sono pigre. Invitano sempre gli stessi influencer, non fanno scouting», conclude Oliveira. «La moda deve pensare in grande. Non si lasci ossessionare dal numero di follower» .