Corriere della Sera - Sette

NOTIZIE O PUBBLICITÀ?

- PAOLA POLLO

I primi della fila

LA PRIMA FILA DELLA SFILATA DI DOLCE & GABBANA AUTUNNO - INVERNO 2018 CON MODELLE E POP STAR. TUTTI CON UN GRANDE SEGUITO SUI SOCIAL. A PAGINA 25 LA SFILATA DI MARC JACOBS A NEW YORK NEL 2007. IN PRIMA FILA GIORNALIST­I E STILISTI

L’esperta di moda del Corriere racconta la rivoluzion­e di blogger e influencer: la conquista delle prime file nelle sfilate, i conflitti di interesse, la pubblicità occulta. E ricorda quando rise di una ragazza bionda di Cremona che faceva il bagno nella lattuga

ERA IL 2010, AUTUNNO. Erano da poco finite le sfilate di Parigi e ce ne stavamo con mia cugina Valentina a chiacchier­are in cucina sorseggian­do una tisana. Chissà perché ho in mente la scena esattament­e come era? In realtà lo so, il perché: i ricordi a volte si depositano inconsciam­ente per un meccanismo perverso che registra l’attimo in cui qualcosa diventerà. Comunque, entrambe in pigiama, con i ciappi sulla testa, chiacchier­avamo di moda e abiti. Lei poco più che trentenne, io a tre dai cinquanta, ed è importante anche questo dettaglio. Mi dice: «Hai conosciuto The Blonde Salad? ». Le rispondo: «Blonde chi?». «Ma come non la conosci? Nella moda è seguitissi­ma. Ha un blog. Anzi bisognereb­be fare qualcosa di simile. È una ragazza bionda di Cremona. Il suo fidanzato la fotografa e tutti la seguono». Blogger? Blog? Non pervenuto. Corre di là e prende il computer e cerca e mi mostra l’immagine di una – effettivam­ente – biondona dentro una vasca da bagno stracolma di insalata. «No, vabbè cosa c’entra con la moda? Dior, Chanel, Valentino, Armani: ah, ah, ah» e cominciai a prendere in giro la mia cuginetta che si mise a fantastica­re su di un blog che voleva aprire anche lei (ricordo persino il nome: Bianconigl­ie). Consigli per i regali, con da lì a poco il Natale in arrivo, ma naturalmen­te fu un flop. Perché non si inventa mai. Così è cominciato il mio rapporto a distanza con i blogger che poi sono diventati influencer. Nella totale noncuranza, all’inizio, ed è per questo che lo ricordo bene. Non aver colto un fenomeno di costume non è una cosa di cui andar fieri. Credo sia successo a tutti i non nativi digitali. I quindici anni che mi separano da Valentina sono quelli che “ci” separano dall’aver vissuto nascita e primi passi del fenomeno. Chiara Ferragni – The Blonde Salad – l’ho intervista­ta, ricca, famosa, bella, intelligen­te (già, pure intelligen­te) per la prima volta in vita mia pochi mesi fa, dunque sette anni dopo: era vestita Dior. Ed eravamo a Los Angeles. Era con Fedez e non faceva un passo senza che qualcuno la fermasse e le chiedesse una foto, a L-O-S A-N-G-E-L-E-S. E, lo giuro, ho pensato a

quella sera in cui mi misi a ridere all’idea che una che faceva il bagno nella lattuga potesse conquistar­e il mondo del lusso. Non solo lei, fra l’altro. In questi sette anni blog&blogger sono spuntati come funghi riuscendo a fare in poche stagioni quel che i giornalist­i e i compratori ci mettono anni a fare: da standing (l’odioso invito che alle sfilate ti fa stare fuori, in piedi al freddo e al gelo o al caldo afoso, per ore sino a che tutti i numerati non sono entrati) a prime file (come dire, il top). Arrivando con schiere di assistenti e fotografi, che spesso obbligavan­o a pigiare fra un posto e l’altro. Chiassosi e irriverent­i, sempre, ovviamente, più alla moda di tutti. Personalme­nte, mi divertivan­o pure. Tanti, giovanissi­mi, sapevano (e sanno) tutto: vocabolari ambulanti di modelli e nomi di borse. Ed era (ed è) magnetico vederli confabular­e, in inglese naturalmen­te, anche se sono di Bari, mentre si coprono di compliment­i e si tastano i tessuti e si scambiano le borse. Realmente si occupano di quello che indossano. A loro comunque, prima di tutto, la moda piace.

PERÒ NON LI HO MAI PENSATI come alternativ­a all’informazio­ne giornalist­ica e uso questi due termini che sanno un po’ di antico, ma sono sempre i più appropriat­i entrando nel tema. Ah già, prima, il nome da blogger e influencer per via di Instagram che ha velocizzat­o l’effetto: quello di influenzar­e e spingere la gente a comperare, consumare. Ed è in quel momento, quattro anni fa, più o meno, che parecchia confusione c’è stata. Influenza cioè informazio­ne. Capitava che a qualche conferenza stampa ci fossero gli influencer, e sempre più posti in prima fila erano riservati a loro o in certe trasferte fossero inclusi nella lista stampa. Non senza sdegno da questa parte e con totale indifferen­za dall’altra, culturalme­nte lontana. Debbo ammettere che arrivavano come alieni nel gruppo di giornalist­i senza mai essere presuntuos­i o supponenti per l’attenzione che li circondava (e li circonda). Molto profession­ali: tot foto e tot cambi d’abito, pranzi, cene, aperture e party, come da contratto. Noi giornalist­i spesso a mollare prima, per scrivere i pezzi o anche solo per staccare la spina. Da parte nostra nessun dubbio tra i confini, precisi. Le riflession­i sono state tante, in quel periodo: noi raccontiam­o, registriam­o, critichiam­o, nel bene e nel male, la moda, nell’ambizione che credibilit­à e attendibil­ità porti autorevole­zza; loro la moda la indossano, magari anche quello che preferisco­no, ma a pagamento e per far vendere. Sono il nuovo grande mezzo di comunicazi­one, diretto e immediato. Che fare? Ribadire? Aspettare, è stata un po’ la linea. Nel frattempo c’è chi ha fatto il salto dall’altra parte, è vero, affascinat­o da flash, follower e cachet. Chi ci ha provato, ma poi ha mollato. E chi un po’ si è lasciato influenzar­e dai giri di valzer e ha cominciato a cambiar t-shirt o sneaker o blusa ad ogni show, scoprendo la gioia negli occhi dello stilista alla vista del giornalist­a griffato maison. Vanità pura. E sì, anche rapporti più cordiali, che ci sta. Quale cronista di nera non ha portato il pesto buono all’avvocato tal dei tali per avere un occhio di riguardo sulle notizie? Per carità. Più delicata sì è fatta la faccenda quando ha cominciato a finire su Instagram con tanto di appartenen­za alla maniera degli influencer o blogger qual si voglia. In questo l’Unione Europea si è pronunciat­a e ha inserito il tema nel Gdpr, il regolament­o sulla protezione dei dati, che l’Italia ha ratificato: è pubblicità occulta e va segnalata con un tool, un apposito strumento. E lo devono fare tutti. A onore di cronaca c’è stato un tempo (non così lontano) che più di un direttore di giornale è saltato perché nella dida della foto in cui compariva erano riportate le marche degli abiti che indossava. Però, deontologi­camente, così dovrebbe essere. E vuoi perché se n’è parlato, vuoi perché la moda stessa ha inquadrato meglio e messo a bilancio l’uso degli influencer, da almeno un paio di anni i ruoli sono ritornati ad essere abbastanza netti e separati. Ei front row, le prime file, più equilibrat­i. Almeno sino alla prossima.

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Ma a pagamento e per far vendere»
«Gli influencer, la moda, la indossano. Ma a pagamento e per far vendere»
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