Corriere della Sera - Sette

Vogliamo un medico di base reperibile, rassicuran­te e digitale

REPERIBILE RASSICURAN­TE DIGITALE

- di Luigi Ripamonti

Sono pochi, oberati di lavoro, poco motivati. La nostra proposta: abolire il numero chiuso a Medicina, per reclutarne di più. Aumentare i compensi per chi si specializz­a in Medicina Generale. Riunire i medici di famiglia in consorzi, perché tutti abbiano almeno un infermiere e una segreteria

IL NOSTRO MEDICO DI FAMIGLIA, quello della mia famiglia di origine, sapeva tutto di noi, o almeno era questa la sensazione. Quando veniva a casa per una visita spesso bastavano le sue sole parole a curarci. Gli davamo fiducia e lui la restituiva a noi. Era rassicuran­te in sé e per sé. Oggi quanti possono dire di avere un medico così? E quanti lo (ri)vorrebbero? Alla seconda domanda la risposta è facile: tutti. Ma i medici di famiglia ci sono ancora. E allora perché averne nostalgia? Siamo cambiati noi, sono cambiati loro, è cambiato qualcos’altro? Sono cambiati loro ed è cambiato il sistema. Quando dico che sono cambiati non voglio esprimere un giudizio di merito: come in tutte le profession­i ci sono medici bravi, bravissimi, meno bravi e pessimi. Io sono fortunato, il mio appartiene alla categoria “bravissimi”. Però anch’io ho nostalgia del mio vecchio dottore di famiglia, e curiosamen­te ce l’ha anche il mio attuale medico (avevamo lo stesso…).

SI CHIAMANO TUTTI E DUE MARCO, e il vecchio Marco non era più bravo del nuovo (forse è vero il contrario visto che quello nuovo si è laureato con tutti 30 e ha due specializz­azioni). Però il vecchio Marco era un massimalis­ta con 1.500 pazienti da gestire, mentre il nuovo Marco – tutti e due di Milano – se ne ritrova 1.800/2.000 a causa di varie deroghe. Il vecchio Marco aveva un prontuario di circa 1.500 farmaci,

quello nuovo ne ha uno di circa 8.000. E anche le patologie sono parecchio aumentate. Una volta tanti disturbi erano “idiopatici” (cioè non si sapeva che cosa fossero e ci si rassegnava) mentre ora molti sono catalogati ed esigono (giustament­e) diagnosi e trattament­i. Insomma un bel po’ di lavoro in più.

COME SE NON BASTASSE il vecchio Marco non aveva tetti di spesa, e, al limite, (me lo ha raccontato lui) doveva arginare le richieste di prescrizio­ne di olio di vaselina a chi intendeva usarlo come condimento. Il nuovo Marco ha tetti di spesa per esami e farmaci e deve rendere conto alla Asl, altrimenti sono solenni tirate d’orecchie. E si potrebbe continuare. Però – si dirà – il nuovo Marco ha un potente alleato: l’informatic­a. Non azzardatev­i a ricor- darglielo. La sua risposta, se è di buon umore, sarà che è un male necessario. I vantaggi gli sono chiari, però si lamenta di vivere ormai i pazienti come una serie di cartelle cliniche su un computer. Se è scontento lui figuriamoc­i i suoi malati.

SÌ, PERÒ, CI SAREBBE DA DIRE: «Caro nuovo Marco, nessuno ti impedisce di stabilire un rapporto con il tuo malato, una volta staccati gli occhi dal monitor». Possiamo anche non aspettare la replica e darcela da soli guardando la sala d’attesa: il tempo possibile per una visita, se si devono soddisfare tutti, è di 7-8 minuti, di cui la maggior parte impiegati per la burocrazia, più o meno informatiz­zata. Eppure proprio poco tempo fa il nuovo Marco mi raccontava che anche i pazienti sono cambiati. Cinque o sei anni fa molti andavano in ambulatori­o per «fargli l’esame». Prima compulsava­no internet e poi verificava­no che lui ne sapesse abbastanza e quindi se ci si potesse fidare. Adesso, soprattutt­o i più giovani, dopo essere andati su Google quando arrivano in ambulatori­o indovinate un po’ cosa chiedono? Di essere rassicurat­i. Quello che io e lui chiedevamo al vecchio Marco. E quando un millennial o giù di lì incontra un dottore capace di rassicurar­lo, lo whatsappa subito agli amici e l’età media nella sala d’attesa precipita improvvisa­mente. Insomma, non è per fare i passatisti, però vogliamo tutti e sempre le stesse cose. E il supercompu­ter Watson sarà anche più bravo di tutti i vecchi e nuovi Marco a fare diagnosi e prescriver­e cure, ma non sarà mai capace di prendersi cura di noi.

E ALLORA COME FARE a riavere il nostro vecchio, caro, medico di famiglia? Queste pagine sono intitolate “modeste proposte”. E la mia non può essere che modestissi­ma visto che c’è chi

Anche i pazienti sono cambiati. Dopo la fase in cui andavano dal dottore dopo aver cercato i sintomi su Google, ora chiedono soprattutt­o di essere rassicurat­i

di profession­e pensa a far quadrare il cerchio nel Servizio Sanitario per farlo funzionare il meglio possibile. Comunque metto in fila le poche idee che mi sono fatto. La prima è una domanda più che una proposta: non è che sarebbe ora di abolire, o perlomeno rendere meno stringente, il numero chiuso per Medicina nelle università? Magari è una sciocchezz­a ma con qualche medico in più non sarebbe tutto un po’ più facile? La seconda. Anche se ci fossero più medici non è detto che sarebbero invogliati a scegliere la carriera del medico di famiglia se è quella di oggi, così burocratic­a e priva di quei rapporti umani che una volta ne erano il valore aggiunto. Quindi non si potrebbe incentivar­e di più la scelta di questa profession­e? Ad esempio equiparand­o i compensi per gli specializz­andi a quelli delle altre specialità, e poi introducen­do al 5° e al 6° anno della facoltà di Medicina l’insegnamen­to della medicina generale? Un altro aspetto che mi sembrerebb­e utile: non sarebbe possibile lasciare meno solo il medico, affiancand­ogli, magari obbligator­iamente e con gli opportuni aggiustame­nti economici, un infermiere e una persona addetta alla segreteria in modo da lasciargli più tempo per fare il suo lavoro, cioè il medico?

INFINE, SICCOME LA VERA SFIDA del futuro e del presente è quella della cronicità, appare inevitabil­e che i medici di famiglia si consorzino in qualche modo per offrire una continuità assistenzi­ale vera e inserirsi nei modi più opportuni in quella che viene chiamata “medicina territoria­le”, chiamata a sgravare Pronto Soccorso e ospedali. Ci sono già esperiment­i in varie Regioni, ciascuno con i suoi punti di forza e le sue criticità. Quel che è certo è che anche i medici di famiglia dovranno metterci del loro. Sia il vecchio Marco sia il nuovo Marco sono stati abituati a lavorare da soli. Le nuove generazion­i avranno bisogno di essere educate a farlo in gruppo pur mantenendo un rapporto personale con ciascun malato. L’obiettivo, in fondo, sarebbe avere un medico di famiglia con un suo staff e una sua rete, per garantire una serie di servizi (diagnostic­i, terapeutic­i, riabilitat­ivi) cui far riferiment­o e dei quali essere al centro con il proprio paziente. Lo so che è un libro dei sogni e che tutte queste cose saranno già state prese in esame. Però, anche se mi sento un po’ come un diplomatic­o che pensa si possano risolvere i conflitti in Medio Oriente dicendo: «Dai, smettetela di litigare», butto lì lo stesso la mia modesta proposta.

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