Corriere della Sera - Sette

Bartoletti: «Io e Brera in Argentina sulla 133»

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A TUTTI I GIORNALIST­I arrivati a Buenos Aires per seguire i Mondiali di calcio, nel 1978, venne data in uso dalla Fiat Argentina un modello ignoto nel resto del mondo, la 133, un incrocio tra una 600 e una 850, per seguire ritiri e partite, con una velocità di crociera di poco superiore a quella delle carrozze. Marino Bartoletti, allora giovane inviato de Il Giorno, si occupava tra l’altro di portare in giro un collega dello stesso giornale che si chiamava Gianni Brera, e le sue tre valige. Per la prima partita dell’Italia, a Mar del Plata contro la Francia, la coppia decise di andare con la macchina e non con l’aereo, «perché Brera non voleva perdersi una sosta a Dolores in una churrasche­ria consigliat­a da un suo parente emigrato». Non fu un viaggio ma un’impresa di oltre 400 chilometri. Scoprirono dopo, strada facendo, che la “Autopista Dos” erano due corsie con fondo sconnesso dove sfrecciava­no più camion che auto, che superavano la 133 con sorpassi terrorizza­nti. Quel tratto di strada era chiamato con il nome significat­ivo di “Carretera de la muerte”. La pausa pranzo durò oltre due ore. Ripartiti, ormai al buio, Brera fumò un sigaro, poi una Gauloises: «Si addormentò barrendo». «Io, quando vidi il cartello “Mar del Plata 100 km”, venni preso dallo sconforto. Mi rianimai solo quando lui si svegliò e chiese: “Come va Marinello? Sei stanco? Vuoi che guidi io?”. La sola ipotesi mi diede una sferzata di energia». Per chiudere quei Mondiali ci fu anche la fine della 133, sotto i piedi dei tifosi argentini che, dopo la vittoria della loro Nazionale, ballarono tutta la notte sul tetto dell’auto di Bartoletti e Brera, parcheggia­ta davanti all’Hotel Plaza. «Alla mattina, quando uscimmo dall’albergo, era un metro più bassa».

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R I C O R D I P I LOTAT I DA S T E FA N O R O D I

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