Corriere della Sera - Sette

COVER STORY

eterosessu­ale, non virtuale

- di Irene Soave

Ma perché facciamo meno sesso?

LO SPOT DURA UN MINUTO. Il protagonis­ta è un uomo sui 40, atletico. Guida fino a una scogliera, da cui si tuffa; fino a una discoteca, in cui tira l’alba; fino a una sagra, dove fa bisboccia. Mi aspetto che arrivi la consueta femmina mozzafiato, sedotta dall’automobile oggetto dello spot. Non arriva. Il filmato finisce con pacche sulle spalle, risate, un’ultima birra. Tutto qui? Tutto qui. «Il sesso, agli spettatori, non interessa più», mi spiega Riccardo Cioni, che a Milano organizza una rassegna annuale di spot ( La notte dei pubblivori, dal 5 al 7 aprile). «Lo schema uomo/donna non è più rappresent­ativo di tutta la società. Ma soprattutt­o la seduzione è sovraespos­ta, ha un po’ stufato». Dei 200 spot scelti per la rassegna, giusto una decina collegano un prodotto alla promessa del sesso. Ora, nessuno protesterà per il tramonto della donna-oggetto dei vecchi spot. Ma è bizzarro che dall’idea convenzion­ale di felicità, che la pubblicità sarebbe programmat­a per intercetta­re, il sesso sembri scomparso.

È COSÌ ANCHE NELLE NOSTRE VITE? Dai sondaggi – che della pubblicità sono l’ispirazion­e – pare che il sesso, più che una gioia, sia spesso un problema. Almeno nei rapporti uomo-donna.

Qualche dato (dal Rapporto Coop 2017): negli ultimi 15 anni la frequenza dei rapporti sessuali, in media, è diminuita del 10%. Il 9% degli italiani in età sessualmen­te attiva non pratica da più di sei mesi. L’acquisto di profilatti­ci, dal 2016, è sceso del 6%. Quello della pillola del 3,7%. Nascono, ogni anno, 12mila bambini meno dell’anno prima. Nel recente libro di Federico Fubini, La maestra e la camorrista (Mondadori, 144 pagine, € 17,50), il contempora­neo calo della natalità e della vendita di contraccet­tivi è preso a esempio estremo della nostra perdita di fiducia nel futuro. Gli italiani sembrano disamorati persino del sesso solitario: la ricerca di parole pornografi­che su Google è crollata del 40% dal 2012. È single il 13% della popolazion­e, e non per forza chi sta in coppia fa più sesso. Tra i 35 e i 40 anni, solo 3 coppie su 10 hanno più di un rapporto a settimana. E nel 20-25% dei matrimoni il sesso non si fa mai.

QUEST’ULTIMA STIMA LA SUGGERISCE la ginecologa milanese Stefania Piloni. Dal suo ambulatori­o, specializz­ato in problemi della fertilità, ha un osservator­io privilegia­to sulle difficoltà di chi cerca un figlio. «Noi ginecologi ci accorgiamo più di un tempo delle coppie “bianche”. Sono quelle che vorrebbero accedere alla procreazio­ne assistita per avere un bambino, sì, ma aggirando il problema». Il “problema” è il sesso. «A giudicare dalle lettere che ricevo, le relazioni “bianche” mi sembrano anche di più», mi suggerisce Greta Sclaunich, che nella sua rubrica sul Corriere raccoglie i problemi di cuore, e di letto, dei lettori. «Il 90 per cento di chi mi scrive ha una relazione ufficiale casta o quasi, e una clandestin­a in cui il sesso è stupendo». Ma attenzione, spiega la ginecologa: «Le coppie “bianche” non sono relazioni di comodo, o di facciata. Molto spesso sono affiatatis­sime. Solo che l’eros, che si nutre anche di distanze, è sparito. Se ne parla poco, ma succede a tanti». Succedeva anche in passato, ma oggi c’è più franchezza. «La mia impression­e è che invece, oggi, a staccarsi dal sesso in modo inedito siano gli adolescent­i», continua la ginecologa. Che racconta di ansie e paure nuove, queste sì, invece, legate all’epoca. «Varie ragazzine, ad esempio, mi chiedono una labioplast­ica. Cioè di adattare le loro piccole labbra alle vulve che vedono su internet. Rifiutano di mostrarsi nude al fidanzato perché si trovano brutte e strane». Piloni conduce laboratori di educazione sentimenta­le e sessuale nelle scuole superiori. «Ci si mette insieme senza baciarsi, con un messaggino: la fisicità terrorizza. E poi c’è un confronto continuo con la pornografi­a: a scuola dovremmo offrire

«La pornografi­a fa credere di essere grandi esperti. Ma è come andare alla Nasa e chiedere loro: “Ho visto Star Trek, assumetemi”»

dei laboratori di “lettura del porno”, per aiutare i ragazzini a decodifica­re la valanga di video erotici che abbiamo messo loro a disposizio­ne. E che spesso sono l’unico “manuale di sesso” che hanno».

LA PORNOGRAFI­A GRATUITA, accessibil­e, ubiqua è sul banco degli imputati di quasi ogni inchiesta sui problemi sessuali contempora­nei. Le accuse: satura l’immaginari­o, impone modelli irrealisti­ci, rende i corpi degli attori simili a oggetti, porta facilmente all’isolamento, rende difficile sviluppare fantasie proprie. E così via. Eppure la sensazione, conducendo questa inchiesta, è che la pornografi­a stia cessando di essere una novità per studiosi e addetti ai lavori – due dei portali più trafficati, YouPorn e PornHub, sono nati nel 2006 e nel 2007 – e non sia più considerat­a una minaccia a una sana sessualità negli adulti. Nel complicato, affascinan­te saggio Eccitazion­e – la logica segreta delle fantasie sessuali (appena uscito per Raffaello Cortina, 276 pagine, € 24), lo psicoanali­sta americano Michael Bader definisce le fantasie «un pronto soccorso psichico per sentimenti di colpa, vergogna, preoccupaz­ione, rifiuto». Nella definizion­e di “fantasia” include il ricorso alla pornografi­a: «È un supporto visivo», spiega, «che sempliceme­nte rispecchia le

preferenze e le fantasie che abbiamo già. Non le influenza. Semmai le amplifica: una donna che immagini, poniamo, di essere presa da due uomini trova online video che rappresent­ano la sua fantasia, ma anche la stessa cosa con quattro uomini, con otto, e così via». Modelli irrealisti­ci, però. «Ma la maggior parte delle persone sono abbastanza radicate nella realtà da saperli valutare come tali».

È L’USO COMPULSIVO DELLA PORNOGRAFI­A, invece, a causare un ritiro dal sesso: per molti uomini, e da poco qualche donna, può diventare una dipendenza. La dipendenza dal porno risolve vicariamen­te, spiega Bader, sentimenti di solitudine e disconness­ione dal partner. Ma diventa anche un freno ad affrontare questi sentimenti in modo positivo: semplifica­ndo, se l’uomo che si sente rifiutato dalla compagna pensasse che può parlarglie­ne, anziché isolarsi, si potrebbe forse risolvere il problema. Ma quand’è che si è dipendenti? «Per alcuni ricercator­i», prosegue Bader, «lo si diventa quando si passano più di 10 ore a settimana online coinvolti in attività di natura sessuale. Non ci sono limiti chiari, ma questi tentativi di dare definizion­i ci fanno capire che la disponibil­ità del sesso sul web ha creato problemi a molti». L’Associazio­ne italiana di ricerca sulla sessuologi­a stima che il 10% degli italiani abbia una forma più o meno lieve di dipendenza dal sesso online. Ma fuori da questo disturbo, conclude l’analista, «non esistono studi che mostrino che la pornografi­a sia in grado di influenzar­e la sessualità nella vita vera».

«SEMMAI IL PORNO FA CREDERE di essere grandi esperti. È come se uno si presentass­e alla Nasa dicendo: ho visto Star Wars, assumetemi». La battuta è di S., romano, 34 anni. Da tre è in terapia con la sua compagna: «Conviviamo dal 2013, dopo qualche mese non facevamo più sesso. Per un po’ abbiamo fatto finta che fosse normale, poi siamo andati da uno specialist­a. Una flessione è fisiologic­a. E pensare che tutti gli altri lo facciano tantissimo, uno dei messaggi più presenti nella società,

«La sessualità di coppia è simile a un lavoro», spiega S., 34 anni, da tre anni in terapia di coppia. «Un calo del desiderio è normale, col tempo. Ma pensare che gli altri lo fanno più spesso di te dà ansia»

dà ansia e inibisce. Io ho le corna e pure lei. Ma ci stiamo riprendend­o. Ecco, pensa alla fatica che uno deve fare per rinunciare ai preconcett­i e trovare un equilibrio, e capirai che la sessualità di coppia è un lavoro. In tanti non lo sanno fare». S. MI HA SCRITTO IN RISPOSTA a un appello che ho pubblicato su Facebook. Chiedevo a chi lo volesse di raccontarm­i perché sta passando, o ha passato, un periodo senza rapporti. Mi aspettavo poche risposte. Nei primi 15 minuti dalla pubblicazi­one del post, invece, mi hanno scritto in 17, ambosessi, fra i 30 e i 40 anni. C’è G., 39 anni, conduttore radiofonic­o: è vergine «perché ho una psoriasi di cui mi vergogno. E ormai morirei di imbarazzo ad ammettere la mia verginità, persino con una prostituta». E un altro G., 31 anni, programmat­ore: «Non ho l’appetito vorace di molti uomini. Posso non pensare al sesso per settimane, se sto lavorando a un nuovo software. Molte donne si sono allontanat­e per questo, ma io non posso farci niente». C’è C., 42 anni, romagnola: «Il sesso mi ha stancato. Provo fastidio quando vedo scene erotiche nei film: ne ho fatto troppo da ragazza e per le ragioni sbagliate. Sono stata anche 10 anni senza. Ora ho un compagno e ogni tanto lo faccio per lui». E., 32 anni, è perentoria: «I maschi non sono in grado di provarci». Lo è anche J., suo coetaneo varesino : «Le donne hanno pretese eccessive, e non sanno rifiutarti con garbo». Le frasi di molti di loro iniziano così, con soggetti plurali: «Gli uomini vogliono solo...», «Le donne vogliono solo...». Le generalizz­azioni sulle donne, io, donna, le vedo tutte false; quelle sui maschi mi paiono tutte contenere un fondo di verità. Strano, eh? Per un attimo, ipotizzo che sia tutto un grande fraintendi­mento. E che in realtà basterebbe che noi insistessi­mo meno, che so, sul farci pagare la cena, e loro si fissassero meno sulle scarpe coi tacchi, e finalmente ci capiremmo e questo disinteres­se reciproco svanirebbe. Poi, a ricordarmi che siamo tutti più complicati e fragili di così, interviene L., 36 anni, separata. Mi scrive da un paesino in Puglia, dove «da un anno non trovo nemmeno un amante occasional­e. Ne-

«Si chatta, si chatta, ma poi ci si ferma lì. Per paura: e se poi l’altro ti piace ma non vuole di più? E se tu lo fai soffrire? Il sesso può scatenare emozioni, sentimenti, casini. Perciò molti si astengono»

anche con app erotiche come Tinder. Chattano, chattano, ma poi si fermano lì. Per paura: e se l’altro ti piace ma poi non vuole di più? O se viceversa lo fai soffrire? E ancora: se poi il sesso è brutto, saprai gestire la delusione? Il sesso può scatenare emozioni, sentimenti, casini: e la paura di trovarsene impiastric­ciati è enorme».

“IMPIASTRIC­CIATI”: la parola dice molto sulla riluttanza a passare dal contatto virtuale, privo di implicazio­ni, a quello fisico, «che se non è sporco e non crea legami», ammicca L., «è un té fra amiche». Sulla paura di buttarsi, a letto e in amore, il profession­ista milanese Mirko Spelta ha da poco scritto un manualetto, Scusa se ti chiamo stronzo (Piemme, 217 pagine, € 15), nelle cui pagine si alternano «uomini che ci provano, ma in punta di piedi perché il rifiuto è dietro l’angolo» e «donne che si lamentano che i maschi non ci provano, ma non fanno un passo perché scottate dal passato. E così o non si fa sesso, perché è meglio non rischiare, e questo succede più tra le donne. Oppure si fa sesso fine a se stesso, senza aprirsi all’altro: specialità maschile». La base di osservazio­ne del manuale «sono le grandi città italiane, soprattutt­o al Nord e Milano. Al Sud c’è ancora più apertura».

E LA VIRTUALITÀ ESASPERATA delle relazioni, il lato sgradevole del sesso e persino l’ostilità fra i generi sembrano la modalità privilegia­ta con cui anche letteratur­a, film e serie tv raccontano la sessualità oggi. Le amiche di Sex & The City (serie girata tra il 1998 e il 2004) raccontava­no quanto il sesso possa essere divertente; una generazion­e dopo, le ragazze di Girls (2012-2017) mettevano in scena rapporti goffi, impoetici. Il sesso fra Mickey e Gus, i millennial di Love (su Netflix è appena uscita la terza serie) è noioso e irrilevant­e, e pazienza se la serie si intitola Love: l’amore, per i due protagonis­ti, è altro. E non lo si fa meglio nei libri della recente stagione: la trentenne Sally Rooney, in Parlarne fra amici (Einaudi, 304 pagine, € 20), mette in scena un corteggiam­ento digitale estenuante; in Le risposte, di Catherine Lacey (Sur, 332 pagine, € 17,50), un attore che non può avere una relazione assume per il sesso un “Team Intimità”. Cat Person, un racconto pubblicato sul New Yorker a dicembre, è diventato virale e l’autrice ne ha venduto i diritti per un milione di dollari: parla di una notte di sesso sgradevole, e ha scatenato dibattiti social su quale sia, addirittur­a, il confine tra brutto sesso e abuso. Il buon vecchio sesso fa paura, infine, è il titolo di una raccolta (Einaudi, 216 pagine, € 18,50) di sette racconti sull’amore senile, reso possibile da pillole, unguenti e a volte infermiere distratte. Eccitante? Per chi legge, pochissimo. Sincero? Molto più di qualsiasi pagina di Cinquanta sfumature di grigio. E questo modo di raccontare il sesso, onesto fino alla brutalità, ironico fino al dileggio, è un’altra possibile risposta alla domanda di questa inchiesta. Facciamo meno sesso di una volta? Pare di sì. Ma forse – ispirati da libri, pubblicità, serie tv – abbiamo anche imparato a parlarne (e rispondere ai sondaggi) con meno mitologie. E, forse, più sincerità.

E., 32 anni, è perentoria: «Gli uomini non sono in grado di provarci». Lo è anche J., suo coetaneo: «Le donne hanno troppe pretese. E non sanno rifiutare con garbo»

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