PASSAPAROLA
Alberto Ongaro, lo scrittore che scriveva romanzi direttamente in cinemascope
SABATO 24 MARZO È ARRIVATA una mail di un lettore di lungo corso. Diceva. «Ho letto questa mattina che è morto Alberto Ongaro, scrittore a me sconosciuto fino a quando non ne ha parlato lei alcuni anni fa. Credo sia la scoperta in assoluto più interessante che mi ha fatto fare. Ricorderò per sempre La taverna del Doge Loredan come una delle più belle esperienze della mia vita. Grazie, Bruno Berni». Abbiamo detto addio ad Alberto Ongaro mercoledì scorso all’isola di San Michele a Venezia. Mentre si svolgeva la cerimonia di commiato, citavo tra me e me l’attacco carico di mistero della Taverna del Doge Loredan: «Sempre più spesso nel luogo dove mi trovo un uomo senza volto mi compare davanti e mi si ferma accanto sempre più a lungo di quanto io possa sopportarlo». E pensavo a Nina, la protagonista del romanzo, una delle tante donne bellissime inventate da Ongaro nelle sue storie. Nina che evoca a uno dei personaggi del libro: «Terre che non avevo mai visto e di cui avevo soltanto sentito parlare, caffè e noci di cocco brasiliane e croccanti e torroncini e anche, non mi vergogno a dirlo, la tigre della poesia di William Blake» È dal 1980 (anno di uscita della Taverna, romanzo per cui delirarono Federico Zeri e Beniamino Placido) che scrivo di Alberto Ongaro. In questo momento non sono i suoi romanzi più famosi che mi vengono alla memoria e al cuore, ma un libro dimenticato, L’ombra abitata del 1988, un romanzo atipico nel catalogo di Ongaro. Non è il romanzo di una fuga (come La taverna e il bellissimo, perfetto nel congegno narrativo, La partita, di cui fu protagonista al cinema Faye Dunaway), ma di un ritorno, quello impossibile tra le ombre del passato. Ongaro scriveva in cinemascope, non su un foglio di carta o sul monitor di un computer, ma direttamente sul grande schermo dei film hollywoo-
diani dell’Età dell’Oro. Inventore di macchine narrative fastose e festose, narratore ironico e carnale (basta ricitare il personaggio di Nina), Ongaro abbandona nell’Ombra abitata la proverbiale infedeltà del romanziere di avventura (sempre disponibile a voluttuose e voluttuarie imprese), a favore della cupa e maniacale fedeltà di chi descrive una discesa all’inferno. È il suo romanzo più suo. È quello in cui depone ogni trucco ed esplora, solo per virtù e forza di racconto, le tenebre del cuore, le segrete della memoria. Non so fare il nome di un altro scrittore italiano che abbia fatto altrettanto, e altrettanto bene, solo con le leggi eterne del romanzo. Alla fine della cerimonia sull’isola di San Michele, la nipote Marta Moretti ha detto addio a Ongaro con un racconto in cui ha infilato, come perle di una collana, i titoli dei suoi libri. «Caro Alberto, ora che il tuo Romanzo d’Avventura ha cambiato passo e che sarai tu stesso Il Complice dei personaggi che hai inventato, amiamo pensarti seduto alla Taverna del Doge Loredan a giocare La Partita più difficile per svelare Il Segreto di Caspar Jacobi o quello dei Segonzac. Ci piace immaginarti scortato dai quattro moschettieri a discutere con Athos di Un Uomo alto vestito di bianco conosciuto in un Passaggio Segreto di Hollywood Boulevard. Oppure invece ballare una Rumba nella Versione Spagnola, in un Interno Argentino, lasciando che La Strategia del Caso decida la prossima mossa. Dietro La Maschera di Antenore, si nasconde un’Ombra Abitata che noi riempiremo di tutte le storie che ci hai raccontato, di gauchos e marinai, di isole del tesoro e calli nascoste, di macumbe e grassi sovrani di infimi regni, di duelli all’ultimo sangue, di attori consumati e bellezze senza tempo. Sappi comunque che noi ti aspetteremo sempre, al Ponte della Solita Ora, per ascoltare con te Il Respiro della Laguna ».