Corriere della Sera - Sette

Lo Stato sociale: «Riempiamo gli spazi inutilizza­ti delle città»

- di Micol Sarfatti

A pranzo con la band bolognese, protagonis­ta del Festival di Sanremo, che conosce il problema degli affitti: «Ci vorrebbero più tutele per studenti, precari e artisti». All’emergenza abitativa ha dedicato anche uno spettacolo teatrale: «I luoghi dovrebbero essere di chi li ama, non solo di chi li possiede»

«COSA È CAMBIATO dopo il Festival di Sanremo? Suoniamo meglio». «Dai vez, non esageriamo». «Però adesso i nostri genitori hanno capito cosa facciamo». «Una cosa di sicuro sarà diversa: ai prossimi concerti ci riprendera­nno tutti con i telefonini, prima ballavano e basta». «Le ragazzine ci corrono dietro? Ma va là». Battute tra amici davanti a un piatto di tortellini, ma anche riflession­i generazion­ali sulla casa, il precariato, le città. A pranzo con Lo Stato Sociale. Band, che si definisce collettivo, anche perché non ha un frontman e cambia cantante ogni volta, arrivata seconda a Sanremo con Una vita in vacanza, ironica analisi sul lavoro, ormai tormentone da Disco di Platino. Alberto “Albi” Cazzola, Francesco “Checco” Draicchio, Lodovico “Lodo” Guenzi, Alberto “Bebo” Guidetti, Enrico “Carota” Roberto. Cinque regaz, età tra i 31 e i 33 anni, amici da una vita,

catapultat­i dalla nicchia della musica indie ( musica indipenden­te dalle grandi etichette discografi­che ndr) alla ribalta nazionalpo­polare. Suonano insieme dal 2009. Hanno alle spalle quattro album, molti tour, diverse date sold out, un romanzo, Il movimento è fermo (Rizzoli, 2016), vari spettacoli teatrali, tanto attivismo.

DA QUALCHE MESE sono uniti anche in questo nuovo «frullatore post Festi- val». Pronti a partire per un breve tour in Spagna dall’8 al 13 aprile, «Facciamo l’Erasmus», scherzano, in attesa di quello estivo in Italia. Prima data italiana: 8 giugno al Carroponte di Sesto San Giovanni, Milano. «Non vediamo l’ora di rimetterci a suonare dal vivo». Sono reduci da un tournée firma – copie della raccolta Primati (Garrincha Dischi) nelle librerie di una decina di città. «Abbiam firmato di tutto: cd, diari, qualche tetta e pure due cagnolini

«Oggi troppa gente decide di mettere casa in affitto su Airbnb. È più gestibile, le tariffe sono alte. Con qualche weekend ti recuperi l’equivalent­e di un canone mensile. Non corri il rischio dell’insolvenza, ma togli possibilit­à a chi cerca un posto per vivere»»

bianchi». Li incontriam­o in trattoria. Qualcuno arriva a piedi, qualcuno in bici. Sorrisi, occhiali da sole, maglioni colorati, cuffie appoggiate sul collo. Il cielo blu fa scintillar­e i colori dei palazzi e regala un assaggio di primavera. Siamo a Bologna, ovviamente. La loro, amatissima, città. La Bolo in cui sono cresciuti, e hanno fatto balotta (traduzione dall’emiliano: compagnia di amici, ndr). In cui si sono impegnati in campo culturale e sociale. «Ci siamo chiamati Lo Stato Sociale perché continuava­mo a leggere articoli e commenti che ne denunciava­no la mancanza. Ci siamo detti: “Facciamolo noi! Riempiamo un vuoto di mercato” ».

E ALLORA SI PARTE con lo stato sociale de Lo Stato Sociale. Tema diritto all’abitazione e alle città, sullo spunto della modesta proposta di 7: affitti calmierati per i giovani e sgravi fiscali per i locatori. Arriva un piatto di bruschette. Enrico – Carota rompe il ghiaccio: «So bene quanto sia difficile affittare una casa senza un lavoro fisso. L’ho provato qualche anno fa, quando ancora non riuscivo a vivere di musica e la mia ragazza era studentess­a. Per mesi siamo passati da un divano all’altro a casa di amici. Poi una coppia di anziani si è fidata di noi: senza fideiussio­ni né contratti a tempo indetermin­ato. Non sempre si ha questa fortuna». «Per gli studenti è più facile», ipotizza Albi, «hanno i genitori che garantisco­no per loro. In una città universita­ria come questa c’è giro, le stanze si trovano. Il problema è più dei precari o delle giovani coppie. E poi mancano gli spazi». La parola “spazi” – abitativi, urbani, culturali – torna più volte durante l’incontro. «A Bologna ce ne sono tanti inutilizza­ti, sia pubblici che privati», raccontano. « I proprietar­i non se ne curano, a volte non sanno nemmeno di averli. Basterebbe recuperarl­i per dare a molte persone una casa». Citano come esempio il cinema Embassy, l’ex Telecom, il Galaxy, una residenza di proprietà Inail, utilizzata dal comune per accogliere famiglie sotto sfratto e chiusa lo scorso autunno. «Il diritto alla casa rischia di essere strumental­izzato e diventare una guerra tra poveri: italiani contro migranti. È un errore», commentano. All’emergenza abitativa Lo Stato Sociale ha dedicato uno spettacolo teatrale, Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso. È andato in scena a fine marzo al teatro Arena del Sole di Bologna e, in autunno, arriverà in altre città, tra cui Milano, Firenze e Parma. Lodovico Guenzi, attore profession­ista, recita sul palco. Bebo Guidetti cura musiche e suoni. La regia è di Nicola Borghesi, «praticamen­te il sesto membro del gruppo», per la compagnia Kepler – 452. La struttura drammaturg­ica è quella dell’opera di Anton Cechov, intrecciat­a a un fatto di cronaca locale: lo sfratto della coppia formata da Annalisa e Giuliano Bianchi. Per trent’anni hanno vissuto in una casa coloniale concessa in comodato d’uso dal Comune, perché fondatori di un’associazio­ne per la tutela degli animali. Nel 2015 sono stati costretti a abbandonar­la. «È un racconto sui luoghi dell’anima che scompaiono per motivi economici. Dovrebbero essere di chi li ama non solo di chi li possiede», spiega Bebo. «Parliamo di cosa succede all’amore quando si è costretti a vivere in spazi ristretti, di Bologna e dei suoi simboli degli ultimi anni. Il già citato Galaxy o i murales dello street artist Blu».

LA CAMERIERA porge piatti di pasta fumanti. I ragazzi discutono tra loro. «Oggi tanta gente decide di mettere casa in affitto su Airbnb», dice Checco. «È più gestibile, le tariffe sono alte. Con qualche weekend ti recuperi l’equivalent­e di un canone mensile. Non corri

il rischio dell’insolvenza, ma togli possibilit­à a chi cerca davvero un posto per vivere». «Però il mercato è andato così. Uno poi può pure fare quello che vuole», conclude Carota.

AL TEMA DELLA CASA si lega quello del lavoro, perno di molti loro brani. I ragazzi de Lo Stato Sociale conoscono bene il precariato. Tutti sono stati altro prima di diventare musicisti profession­isti. Poi, insieme, sono riusciti a fare di una passione un mestiere. Checco è laureato in matematica e specializz­ato in informatic­a, è stato ricercator­e universita­rio. Lodo è diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica, Bebo ha lavorato in fabbrica, Carota è stato per due anni impiegato dell’Ikea, tra reparti e servizio clienti. «Un’esperienza surreale, soprattutt­o durante il tour estivo del 2012. La sera ero su un palco da qualche parte in Italia, dormivo in viaggio, la mattina mi ritrovavo seduto in cassa a Casalecchi­o di Reno con una coda chilometri­ca di perso- ne davanti». Dal grande magazzino svedese, non a caso citato in uno dei loro primi LP, Amore ai tempi dell’Ikea, è passato anche Albi. «Ho lavorato al ristorante nei weekend durante l’Università. Ho studiato Comunicazi­one». «Non è detto che la scomparsa del posto fisso sia il male assoluto», argomenta Checco. «La flessibili­tà può diventare risorsa. Ma le istituzion­i devono tutelare il diritto all’abitazione con affitti e mutui agevolati. Se non ho un lavoro che mi garantisce continuità di reddito, lo Stato mi deve garantire altro».

PRECARI, MA PURE MUSICISTI. Hanno cantato con ironia: « La musica ti salva. Ti riduce in miseria. La musica ti uccide. La musica non è una cosa seria ». Qualche soluzione per permettere agli artisti di esprimersi senza finire sul lastrico? Innanzitut­to bisogna considerar­li come lavoratori atipici. «Se uno non è in tournée perché sta scrivendo il nuovo album o uno spettacolo non è che non sta lavorando. Per questo è giusto avere dei sussidi ad hoc. Se al terzo disco o libro non hai concluso niente ti accorgi che quella non è la sua strada e fai altro, dice Albi. Ritorna, anche qui, il tema degli spazi. «In Scandinavi­a concedono aree inutilizza­te per le manifestaz­ioni culturali. Dovremmo prendere esempio». Si parla di reddito di cittadinan­za. Interviene ancora Albi: «Le proposte dei politici italiani in materia, a mio parere, non funzionano. Il tema mi sta a cuore, me ne sono occupato nella tesi di laurea in Sociologia del lavoro. Ho analizzato le teorie di Milton Friedman, liberista, e James Meade, più statalista. Per farle funzionare bisognereb­be ridistribu­ire il reddito a livello universale».

VIENE SERVITO IL DESSERT, cannoli siciliani, è tempo di sintetizza­re la modesta proposta di stato sociale de Lo Stato Sociale per le città: « Sì agli affitti agevolati. Tutele per i contratti a termine o part-time e per gli artisti. Recupero degli spazi urbani e più spazi di aggregazio­ne, compresi quelli che partono dal basso, come i centri sociali. Diritto di voto agli studenti nelle città in cui frequentan­o l’università» E poi? Nessuno che rompe i coglioni. Nessuno che dice se sbagli sei fuori? «E wi-fi gratis dappertutt­o e per tutti». Un’ottima alternativ­a all’utopia del ritornello sanremese.

«Ci siamo chiamati Lo Stato Sociale perché continuava­mo a leggere articoli e commenti che ne denunciava­no la mancanza. Ci siamo detti: “Facciamolo noi! Riempiamo un vuoto di mercato!”»

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