MANO LIBERA
La corsa della dama nera che ha stregato la Calabria, e Salvini
«VOLEMO SPACARE ‘sto tira e mola de on Stato onto, incasinà, clientelare e anca mafioso. (…) Semo a Venexia parché no volemo sprofondar in tel Mediteraneo verso el Terso Mondo…». Il volantino della Lega Nord, diffuso a Venezia il 15 settembre 1996 per la fondazione della Repubblica Federale Padana, diceva proprio così: «Non vogliamo sprofondare nel Mediterraneo…». Vent’anni dopo o poco più, un certo smottamento verso il Mediterraneo nel senso più spregiativo in cui lo intendevano i leghisti dell’epoca, è difficile da negare. Dice tutto la storia della donna scelta da Matteo Salvini come partner a Reggio Calabria alle ultime elezioni politiche. Sposalizio celebrato nelle città sullo Stretto il giorno di San Valentino. E finito con la clamorosa elezione calabrese dello stesso capo della Lega e la quasi elezione della sua damigella convertita al Sole delle Alpi. Nata nel capoluogo storico nel 1960 e dunque troppo giovane per partecipare ai moti di Reggio del 1970 scatenati dai missini di Ciccio Franco al grido di «boia chi molla!» per protestare contro la scelta di Catanzaro come capoluogo politico, Tilde Minasi è cresciuta nella scia di quella rivolta destrorsa. Laureata in Legge, candidata alle comunali del 2002, amica da sempre di Giuseppe Scopelliti, appena quello diventò sindaco fu nominata assessore: Politiche Sociali, Famiglia, Sanità.
Confermata per un secondo mandato alle elezioni successive, visse fino in fondo quella che la destra calabrese rimpiange come la stagione d’oro e gli oppositori ricordano come un decennio per molti versi scellerato. Basti ricordare la più nota delle sorprese, quando Peppe spese 120mila euro per ingaggiare attraverso Lele Mora ventiquattro divi e divette della tv popolare perché venissero a Reggio a passeggiare su e giù per il corso e farsi la foto coi reggini di bocca buona entusiasti di conoscere Alessia Ventura e Federica Ridolfi, Mascia Ferri e Simone Corrente, Irene Pivetti o il tronista Costantino Vitagliano. Dieci anni gomito a gomito in consiglio comunale e poi ancora in consiglio regionale quando Scopelliti diventò governatore. Senza accorgersi mai di quanto i giudici hanno rimproverato al suo idolo fino a condannarlo dopo un processo avviato, citiamo l’Ansa, «dalle autoliquidazioni di Orsola Fallara, suicidatasi nel 2010 ingerendo acido muriatico. Parcelle per un importo di 750mila euro emesse per il suo incarico di rappresentante del Comune nella Commissione tributaria». Inchiesta poi «allargata con una serie di accertamenti tecnici sui conti del Comune dai quali sarebbero emerse una serie di irregolarità nei bilanci dal 2008 al 2010». Buco finale: 170 milioni di euro.
E LA TILDE? MAI VISTO NIENTE. Anzi, ha difeso fino all’ultimo il suo punto di riferimento, che aveva seguito dal MsiAn al Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano e da lì nel trasloco tra i leghisti. I quali potrebbero ora recuperare con maschio vigore imprenditorial-padano, la più brillante delle idee della quasisenatrice del Carroccio: l’istituzione di un albo professionale degli onicotecnici. Gli specialisti delle unghie finte che non accettano di essere abbinati agli estetisti. Una professionalità della quale, nella Calabria piena di disoccupati, si sente l’angosciato bisogno. Era previsto anche un corso di formazione: tre ore per 150 giorni. Totale 450 ore. Seguito, ovvio, dall’«immediato inserimento nel mondo del lavoro».