DANNATAMENTE CLASSICI
Pergolesi, Mozart, Schubert, Bellini, Mendelssohn, Chopin, Bizet, Gershwin: le morti premature in circostanze oscure non appartengono solo al mondo del rock
Da Mozart a Gershwin: le morti premature in circostanze oscure non appartengono solo al mondo del rock
ANDATECI QUANDO PIOVE e il vento sbatte contro i 5.300 alberi fino a creare un effetto straniante, come se il cielo soffiasse forte e premesse per abbassarsi. Andateci quando il sole sembra voler dare conforto alle 70.000 tombe disseminate sulle colline e raggiungibili attraverso strade di pietra lunghe e strette. Andate quando volete a Père-Lachaise, XX arrondissement, nella zona nordorientale di Parigi, perché è un’esperienza unica. Sarebbe un cimitero. Dico sarebbe, perché per i parigini è La Città dei Morti che non Muoiono. Un po’ per le sue dimensioni, un po’ perché qui sono sepolti scrittori, musicisti, pittori, attori. Non solo francesi: qui si trovano, per dire, le spoglie di Oscar Wilde e di Jim Morrison, per la disperazione delle autorità, costrette a regolare l’afflusso dei fan che tentano (spesso riuscendoci) di sottrarre il busto in marmo del cantante dei Doors. Qui, in questo luogo dove il grigiore
della pietra non oscura l’eterna bellezza dell’arte, Elisa Giobbi ha avuto l’idea.Vagabondando per le tombe, osservando le date, scavando nella memoria, si è resa conto che le maledizioni, la dannazione, le morti premature in circostanze misteriose non appartengono solo al rock, ma anche all’universo della musica classica. E ci ha scritto su un libro affascinante come una notte di tempesta in un faro: Eterni.Vite brevi e romantiche di grandi compositori
(Vololibero). Elisa Giobbi è una giornalista fiorentina, attenta a descrivere ciò che la circonda e a indagare quello che la stupisce. Si è presa il tempo giusto e ha individuato un ottovolante di storie (Pergolesi, Mozart, Schubert, Bellini, Mendelssohn, Chopin, Bizet e Gershwin) più un post scriptum in odore di jazz su quel Michel Petrucciani che è morto giovane come chi è caro agli dei, dopo aver vissuto ai 200 all’ora: gli mancava un centimetro per arrivare al metro di altezza, ma non gli mancava nulla per essere un gigante della musica contemporanea. Si parte con la storia stramba di Giovanni Battista Pergolesi, morto chissà se per tisi o per amore. Il fratello della ragazza di cui era innamorato si era opposto fermamente alla loro unione (come accadeva regolarmente in quegli anni, quando il musicista, anche se di successo, era giudicato al livello di un fornaio). Pergolesi e la fanciulla erano fuggiti, il fratello li aveva rintracciati e aveva fatto
rinchiudere la ragazza nel castello di famiglia. Pergolesi, distrutto dal dolore, si era volontariamente segregato nel convento dei Cappuccini di Pozzuoli, dove si consumò fino a morire, a soli 26 anni, pochi giorni dopo aver terminato lo Stabat Mater. Si prosegue con i molti misteri che circondano Mozart, dalla causa della morte (malattia o avvelenamento?) al luogo di sepoltura, che non è stato mai identificato (a Vienna ci sono due monumenti funerari, uno presso il Cimitero di St. Marx e un altro al Cimitero centrale). E poi, chi era al suo capezzale, il 5 dicembre 1791? Il mistero più grande, che ha giustificato il sorgere di infinite congetture, riguarda il Requiem. La storia è bellissima, nella sua tragicità: in piena notte si presenta a Mozart un uomo che indossa una maschera di carnevale, un mantello scuro e una sacca contenente cinquanta ducati. Ha modi bruschi e l’aria lugubre. Incarica Mozart, malato e caduto in miseria, di comporre una messa da requiem. Unica condizione: ha solo quattro settimane di tempo. Mozart si getta a capofitto nel lavoro, mentre tenta di scoprire chi sia quel misterioso committente. Quando sente che sta per morire, si convince che quell’uomo non appartenga a questo mondo e che il Requiem sia in realtà per se stesso. Allo scadere delle quattro settimane, l’uomo si ripresenta e, non essendo ancora stata completata l’opera, concede altri cinquanta ducati e un altro mese di tempo. Mozart morirà
lasciando l’opera incompiuta. Il funerale è di terza classe. Per lui non viene acquistata nemmeno una cassa funebre. Il corpo viene adagiato in una bara con un coperchio che consente, una volta arrivati al cimitero, di scaricare il cadavere nella fossa comune e utilizzare la cassa per un nuovo funerale. Elisa Giobbi racconta in modo mirabile la folgorante parabola di Vincenzo Bellini, conclusa nel mistero più totale, accompagnata dalla profezia che gli fece Heinrich Heine secondo cui sarebbe morto giovane, tra i 30 e i 34 anni. Morì a 33, in preda a un forte delirio e a convulsioni terrificanti. Era solo, senza aver avuto assistenza medica adeguata, a Puteaux, nella villa di Samuel Levy e sua moglie, che impedirono a chiunque, compreso il barone D’Aquino, di avvicinarsi e che lasciarono deliberatamente la villa mentre Bellini stata morendo. Altri misteri avvolgono le ultime ore di Schubert e di Bizet, sulle cui cause del decesso si discute da decenni: attacco di cuore, come da versione ufficiale, tumore all’orecchio, come riteneva la vedova, suicidio dovuto a grave depressione o omicidio? Sul lato sinistro del collo aveva infatti una profonda ferita che sembrava di arma da fuoco. Curiosa anche la maledizione del 3: Bizet muore alle 3 del mattino, il 3 giugno, dopo la 33a replica della 3 mesi dopo la prima rappresentazione, che era avvenuta il terzo giorno del terzo mese dell’anno. Storie difficili da raccontare, mosaici difficili da ricomporre. Erano altri tempi e le notizie non correvano veloci come ora. Anche le diagnosi erano frettolose e approssimative. Il comportamento di George Gershwin fu giudicato per molto tempo niente più che bizzarro: ripeteva continuamente di sentire odore di gomma bruciata, si irritava spesso, mangiava e spargeva il cibo sul tavolo in maniera compulsiva, tanto che sua cognata Leonore arrivò a cacciarlo di casa, convinta che le sue fossero solo bizze da star. Per farsi perdonare, Leonore gli regalò una scatola di cioccolatini. Lui, uno alla volta, se li spalmò sul corpo. Solo dopo molto tempo, quando svenne sul set di
The Goldwyn Follies a Hollywood, i medici si accorsero che aveva un tumore al cervello. Troppo tardi. Morì a 38 anni, accompagnato dallo sguardo addolorato di suo fratello Ira. Si arriva alla fine del libro con in tasca la vecchia domanda: è stato tutto solo un semplice capriccio del caso, un dispetto di chi governa a volte gettando i dadi oppure c’è qualcosa di più, magari la voglia terribile di sottrarre i talenti più puri prima di vederli appassire, per fare in modo che splendano sempre e vadano oltre un cimitero, anche oltre Père-Lachaise?