NON CI SONO PIÙ I BULLI DI UNA VOLTA
La violenza nell’adolescenza è sempre esistita: perché oggi se ne parla tanto? Smartphone, genitori complici, scuola in difficoltà. Lo scrittore Raul Montanari ha dedicato al cyberbullismo il suo nuovo romanzo. Lo abbiamo incontrato a Milano, nella sua sc
L’INCIPIT È DA ARANCIA MECCANICA: Marco, professore delle scuole medie, sta raggiungendo in auto il borgo della Bergamasca dove ha accettato una cattedra. Lo ferma sulla strada un gruppo di adolescenti. L’esca è una ragazza che fa l’autostop; poi con lei salgono in macchina in tre, e un quarto, il capobranco Rudi, si siede sul cofano. Così il professore fa il primo incontro con i nuovi allievi. Seguono ricatti, foto private postate su Facebook, scherzi violenti. Attorno, padri omertosi e madri benintenzionate ma incapaci di capire fino in fondo cosa succede. Il sedicesimo romanzo di Raul Montanari, La vita finora, appena pubblicato, è una storia di bulli. E di cyberbulli, e di violenza nell’adolescenza. Non a caso, mi spiega lui, «il protagonista di Arancia Meccanica non aveva ancora 16 anni: solo a quell’età si è capaci di una violenza simile». Ci incontriamo a Milano, ai piedi del palazzo noto come Bosco Verticale: qui, in un’aula con grandi vetrate sopra una ciclofficina, Montanari tiene le lezioni della scuola di scrittura che ha fondato nel 1999. «La prima idea per il romanzo mi è venuta qui». No, ride, non ci sono bulli fra gli allievi. Ma «un gruppo di adolescenti vocianti si stravaccavano proprio all’ingresso dell’aula,
e disturbavano molto ma non c’era verso di farli andare via».
LA PAROLA “BULLO”, NEL LIBRO, compare una volta sola: e sembra paradossale, ma è rivolta al professore. «Forse a Milano lei sarà abituato a fare il bullo con i suoi allievi», gli dice il padre di due dei ragazzi che più terrorizzano la classe, «ma in paese le cose vanno diversamente». In un altro capitolo, il bullo Rudi risponde così al professore che tenta di arginarlo: «Mio padre mi difenderà: se uno tocca me è come se gli rigasse l’auto». Sono modi per mettere in scena, spiega Montanari, «uno dei problemi di oggi: il crollo dell’alleanza fra adulti. Fino a poco tempo fa gli adulti, genitori e insegnanti, sentivano di doversi occupare insieme dei ragazzi. Oggi l’identificazione è per vicinanza, direi quasi per clan. Il primo istinto è quello protettivo: il prof che critica mio figlio attacca per traslato anche me, e io mi difendo. Succede soprattutto nelle famiglie con meno strumenti culturali».
IL CONFRONTO CON I VECCHI TEMPI è un grande luogo comune sul bullismo: oggi si fanno tante storie, sentiamo dire spesso, ma è sempre stato così. «In parte è vero», continua lo scrittore: «Queste cose a scuola sono sempre capitate. Io stesso sono stato un bambino poco prestante, non giocavo a pallone ad esempio, e spesso le prendevo. Viceversa, crescendo mi è capitato di essere in gruppi di ragazzi più vincitori, e ho fatto cose che a ripensarci mi fanno vergogna, vere persecuzioni. L’adolescenza è di per sé così, un momento della tua vita in cui sei senza pelle. Pensa a quanto stai male per la prima delusione d’amore: nella vita ne prendi altre, ma solo da ragazzo non sai che passano». Però oggi anche la cultura è cambiata. «Non sono molti decenni che un bambino è considerato una persona a tutti gli effetti. Da ragazzino venivo regolarmente riempito di botte a scuola, dagli insegnanti, e a casa dai miei. Quando lo rinfaccio a mia madre, lei mi dice: “Ma dai, che sei stato fortunato’’. E mi ricorda del mio compagno di classe che se prendeva un brutto voto veniva legato al termosifone in attesa che il padre arrivasse a casa, per dargliele. Se ci fosse stato il Telefono Azzurro negli Anni 60 o 70, avrebbe avuto diecimila centralinisti. Ora questa cultura è tramontata. Nelle famiglie più informate è stata sostituita dal rispetto del bambino. Ma dove gli strumenti mancano mi pare sia subentrata semplicemente un’accondiscendenza totale. Che crea bulli perfetti».
E INFINE, RISPETTO AI BULLI di una volta i ragazzi di La vita finora hanno gli smartphone. Non solo loro: l’episodio di cronaca più recente è quello della professoressa disabile di Alessandria, che dieci alunni hanno legato alla sedia con il nastro adesivo. Filmando la scena e postandola su Instagram. I ragazzi sono stati sospesi per un mese, ma con obbligo di frequenza: la donna li vede tutti i giorni. «È per questa differenza che il tema è caldissimo. Intanto perché i genitori, e soprattutto i nonni, che guardano i bambini e i ragazzi in una famiglia italiana su due, del mondo dei social non sempre sanno molto. I ragazzi, lì, sono molto più svegli degli adulti. Chi vuole ferire un compagno ha un senso di impunità maggiore, e una platea teoricamente illimitata di fronte a cui umiliarlo».
E IL DIVARIO DIGITALE tra adulti e cyberbulli esiste anche per lo scrittore: Montanari è nato nel 1959. Per scrivere questa storia ha chiesto aiuto al compagno di pesca Carlo Riccardi (che ringrazia in testa al libro), mediatore giudiziario specializzato in delinquenza minorile. Si è occupato, ad esempio, dei minorenni coinvolti nel caso delle Bestie di Satana. «Il primo luogo comune che mi ha aiutato a sfatare», spiega, «è che i ragazzi oggi non sappiano distinguere il bene dal male. Falso: lo sanno benissimo. Vedono meno il limite fra reale e virtuale. La percezione diffusa è che una violenza digitale, come un filmato mortificante postato su Facebook, avvenga in una riserva indiana senza ricadute sulla realtà. Ma sulle vite di chi lo subisce il cyberbullismo ha conseguenze grandi».