Corriere della Sera - Sette

LA METÀ DI GINO & MICHELE

In coppia è da quasi mezzo secolo uno degli azionisti di maggioranz­a della comicità milanese. Ora, da single, ha scritto una quadrilogi­a gialla dura come una serie di Netflix (con la regia, però, di Federico Fellini) che ha acceso un’asta tra editori (vin

- di Antonio D’Orrico

Antonio D’Orrico intervista Gino Vignali, dello storico duo di autori, sul suo nuovo romanzo

CARO GINO DELLA PREMIATA DITTA GINO & MICHELE ( Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano, Zelig, Smemoranda ecc. ecc.), ti avevo lasciato una trentina d’anni fa in una pizzeria di viale Umbria a Milano, che mi raccontavi la trama di un romanzo che sognavi di scrivere. «Ricordo benissimo, era la storia di una società di tonni che finivano massacrati nella camera della morte di Favignana». Non lo hai scritto quel libro poi... «Sono stato risucchiat­o dalla television­e. Michele e io abbiamo fatto gli impresari, non più gli autori. Poi, più o meno un anno fa, ho chiuso con quel lavoro e ho fatto un piccolo intervento. Durante la convalesce­nza, mi sono un po’ depresso. Stavo in casa e leggevo gialli. Sono un appassiona­to, praticamen­te li leggo tutti. E ne stavo leggendo uno di Malvaldi o di Robecchi (sono bravissimi i giallisti italiani), quando mi sono detto: “Sono vent’anni che non scrivo una parola”». Vuoi dire dai tempi di Neppure un rigo in cronaca che mi piacque tanto e non ebbe il successo che avrebbe meritato? «Da allora. Peraltro quel romanzo era quasi tutta farina del sacco di Michele. Mi dico: “Ma sarei capace di fare un giallo italiano?”. Ho trovato una vecchia rubrica del telefono della Moleskine e mi sono messo a scrivere a mano». A mano? «Sì, e non rileggevo neanche».

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