OCCHIO NON VEDE – COSA C’È IN UNA FOTO
Con un clic diventiamo registi del dolore
GUARDATE LA RAGAZZA IN GIALLO, sulla sinistra, appoggiata alla balaustra. È l’unica che non fotografa. Intorno a lei, l’ordalia digitale si abbatte sulla donna che sta ricevendo frustate in pubblico perché accusata di prostituzione. Prima di lei, alcune coppie, colpevoli di essersi scambiati baci o carezze per strada, avevano assaggiato lo scudiscio del boia. La ragazza in giallo potrebbe essere anche una parente della prostituta, o forse solo un’amica, oppure niente, una donna e basta. Guarda negli occhi la vittima e probabilmente pensa a se stessa: non tanto al meretricio, al quale è del tutto estranea, ma al destino di un’altra donna, forse sua coetanea, all’umiliazione e al dolore per quei colpi sulle spalle, attutiti solo dal velo che, anche nella tortura, per dignità è bene indossare. Sono le regole della Sharia, e qui in Indonesia, nella provincia di Aceh, gli uomini che amministrano il bene e il male non transigono. Per i colpevoli c’è la gogna della punizione in pubblico, con la pena accessoria di finire sugli smartphone dei loro concittadini assetati dell’altrui dolore. C’è un giudice, ad Aceh: un giudice grifagno che adora il palcoscenico. Ma non c’è ancora una via d’uscita dal buio. E il bagliore dei tanti schermi digitali, cupamente in mano a queste donne, è solo il segno di una nuova perdizione.