DAL WEB AL GRANDE SCHERMO
Il cinema dei giovani youtuber
Con il film Si muore tutti democristiani il gruppo milanese del Terzo Segreto di Satira compie un passo avanti rispetto a esperimenti simili. Perché non sempre la comicità che spopola online, come quella dei romani The Pills e dei napoletani The Jackal, funziona in un lungometraggio
UNO SPETTRO SI AGGIRA PER L’ITALIA: la Democrazia cristiana. Possibile? Ma non è morta? Certo che è morta, ma il suo spirito lotta insieme a noi, dentro di noi. Ogni volta che scendiamo a compromessi, optando per la scelta più comoda e democratica. Anzi, democristiana. Vi sentite immuni da questo virus? Provate questo test. Avete un cappotto nero che per il 97 per cento degli altri è giallo, ed è nero solo per il 3 per cento. Che fate? a) Provate a convincere 97 persone su 100 che quel cappotto nero è effettivamente nero e non giallo b) Convincete le restanti 3 persone che il cappotto nero in realtà è giallo, così è più facile. La risposta b) rappresenta cosa significa essere democristiani, ancora oggi. La parabola del cappotto è raccontata, in sogno, dal padre di uno dei protagonisti di Si muore tutti democristiani, film d’esordio del gruppo milanese di videomaker Il Terzo Segreto di Satira, nelle sale dal 10 maggio (prodotto da IBC Movie con Rai Cinema). Si completa così la mini-filmografia nazionale dei gruppi comici che hanno avuto successo su YouTube negli anni Dieci (spesso non amano essere chiamati youtuber). Sono tre: a Milano i ragazzi del Terzo Segreto, intellettuali e ironici, politici, a Roma i The Pills, goliardici e nichilisti, e a Napoli i The Jackal, surreali e demenziali. Si può fare un bilancio (parziale) della portabilità di queste videonarrazioni virali del web, brevi e aggressive, sul grande schermo, dove approdano perché i milioni di follower su YouTube ingolosiscono i produttori.
Il film più riuscito, finora, è quello del Terzo Segreto, autobiografia di una generazione, quella dei 30enni di oggi, che aveva – o si illudeva di avere, perché magari si fingeva soltanto di aver partecipato alle manifestazioni No Global del G8 di Genova – degli ideali, e li ha svenduti per realizzare i propri sogni. Il dilemma del film, quanto mai attuale nell’Italia di oggi, che sta vivendo una nuova stagione politica di purezza radicale, è questo: «Meglio fare le cose pulite con i soldi sporchi, o cose sporche con i soldi puliti?». Il gruppo di videomaker protagonisti della storia alla fine accetta i soldi di un losco e chiacchierato cooperante (della onlus Africando) pur di realizzare il documentario sui migranti. La domanda amarognola che il film lascia in gola è: ne è valsa la pena? No, dirà il solito 3 per cento. Il restante 97 per cento democristiano, invece, dirà di sì. I tre personaggi principali sono interpretati dagli attori ormai fissi del Terzo Segreto: Marco Ripoldi, che fa il giovane No Global poi finito a fare filmini ai matrimoni; Massimiliano Loizzi è il vitellone che si è sistemato con il matrimonio giusto, mentre Walter Leonardi (un campione di affranta perplessità) è il precario dell’università che sta per diventare padre. Attorno a loro, ex-femministe che si sono imborghesite convolando a lucrose nozze e affittuari che sfruttano studenti fuori corso e stranieri attratti da Milano. Città di cui il film mostra un buon mix di facciata multietnica e anima baùscia, da borghesia furbastra, come nella bellissima scenaperno del film, in cui uno dei protagonisti (è un sogno) si trova il padre morto che gli fa la morale democristiana e una folla di sciure e sciuri vestiti da gran borghesi con cappotti, gioielli e ombrelli da negozio: un signore per bene deve sempre avere un bell’ombrello, mica uno di quelli presi dagli ambulanti! I punti di forza del film, rispetto ad altri esperimenti simili, sono la divisione netta tra autori e attori, il cambio di passo (non più da velocisti bensì da mezzo fondo) dal format del video web al lungometraggio; e soprattutto lo scarto dal tema strettamente politico, che pure aveva caratterizzato il collettivo composto da Andrea Fadenti, Davide Rossi, Andrea Mazzarella, Pietro Belfiore, Davide Bonacina (tutti nati negli Anni 80, si sono conosciuti alle scuole Civiche di Cinema, Televisione e Nuovi Media di Milano). Attivo su YouTube dal 2011, ha raccontato, a volte anticipato, lo smarrimento degli elettori di centro-sinistra a fine Seconda Repubblica: rapiti da miraggi civici ( Il favoloso mondo di
IL FILM È UN’ AUTOBIOGRAFIA DELLA GENERAZIONE DEI TRENTENNI FINITA NELSISTEMA CHE VOLEVA CONTESTARE
Pisapie), alienati dai governi tecnici ( Montix), divisi dalle primarie, boicottati dal lìder Massimo ( Il dalemiano), illusi dal renzismo ( Se fossi Renzi). Con il film Si muore tutti democristiani (scritto con Ugo Chiti) han fatto uno scatto in avanti. Non è un film politico, o sull’ideologia democristiana, piuttosto un’opera antropologica, un film di autodenuncia dell’indole ipocrita dei giovani adulti italiani che popolano la sua capitale morale, Milano, dove creatività e impegno sono imperativi, ma il prezzo da pagare è spesso alto. Per il film hanno arruolato il vecchio Paolo Rossi (un sindacalista efficacemente rincoglionito, desideroso e timoroso del cambiamento) e il non-giovane Francesco Mandelli (star del trash con I soliti idioti) nei panni dello yuppie 2.0 che parla come un bimbominkia: non dice 150mila euro ma 150 kappa (generazione mille euro? No, mille kappa!). Il film permette di leggere in tempo reale il contrappasso storico di chi credeva di poter contestare il sistema e alla fine cerca solo un modo di farne parte, per ottenere il proprio obiettivo. Nichilismo al cinema? No. Onestà. O-ne-stà. Vera però, non quella di oggi al potere. E gli altri film nati da fenomeni collettivi del web? Divertente, anche se un po’ caotico, Addio fottuti musi verdi (2017), commedia fantasy di Francesco Capaldo dei The Jackal, collettivo napoletano noto per Gli effetti di Gomorra sulla gente, dove mettono in scena, in maniera irresistibile, i napoletani vittime dei nuovi cliché della serie Gomorra (ma erano già avanti con Lost in Google). Il più deludente, rispetto alle aspettative, è Sempre meglio che lavorare (2016) dei romani The Pills. Troppo alto il tasso di narcisismo nichilista e parolaio, droghe e gag, che nei video può funzionare, e piacere ai fan, ma in un lungometraggio stanca se non è sorretto da sceneggiatura e attori solidi. Non è bastata la regia – disinvolta – di Luca Vecchi, il più eclettico dei tre (gli altri sono Luigi Di Capua e Matteo Corradini). Reagirono così da burini (digitali) alle critiche ricevute che il produttore Pietro Valsecchi dovette intervenire dicendo che non solo le critiche al film erano giuste, ma anche il titolo del film era azzeccato, perché «non hanno voglia di lavorare. Ho messo in scena dei bambini, quanti schiaffi dovrei dargli? Questa generazione deve ribadire per forza ciò che dice, ed è una sciocchezza».
IL DILEMMA MORALE DELLA PELLICOLA È: « MEGLIO FAR COSE PULITE CON SOLDI SPORCHI O COSE SPORCHE CON SOLDI PULITI ?»