Corriere della Sera - Sette

ZEROCALCAR­E

«SONO FORTUNATO: I MIEI AMICI NON LEGGONO I MIEI FUMETTI »

- DI CH IARA SE VERGNINI

Incontro con Michele Rech, alias Zerocalcar­e, a Rebibbia, il quartiere di Roma in cui vive. Il fumettista parla del nuovo libro, Macerie prime. Sei mesi dopo, della paura di tradire il suo mondo e dell’importanza dei cartoni animati

ROMA – Quando Michele Rech, alias Zerocalcar­e, mi stringe la mano, il primo pensiero è che somiglia davvero all’alter ego a fumetti che i suoi lettori hanno imparato a conoscere. Tatuaggi a parte: quelli, nei disegni, non ci sono. Ci incontriam­o a Rebibbia. E dove, se no? Questo è il quartiere-rifugio di Zerocalcar­e: lo ha omaggiato in molte tavole e in suo onore ha realizzato il murale che oggi accoglie coloro che escono dalla fermata del metrò. Rech, classe 1983, è uno dei fumettisti più noti d’Italia. Il primo nucleo di lettori lo ha conquistat­o con le strisce pubblicate sul suo blog. Ha raggiunto il grande pubblico con Dimentica il mio nome (2014), secondo classifica­to allo Strega Giovani nel 2015. Con Kobane

Calling (2016), «nonreporta­ge» (sic) dal fronte curdo, è riuscito a portare un tema non certo leggero fuori dalle pagine di Esteri dei quotidiani. Il suo lavoro più recente è una storia in due parti: Macerie prime, uscito a novembre, e Macerie prime. Sei mesi dopo, atteso il 7 maggio. Nonostante la fama, una pagina Wikipedia in cinque lingue e le collaboraz­ioni con testate come Internazio­nale e L’Espresso, la sua casella di posta sembra quasi una gag uscita da una delle sue strisce: “accolli@hotmail.com”. Nota linguistic­a per chi non parla romano (o non ha letto i fumetti): “accollo” è chiunque si attacchi con richieste pressanti. Sarà una mail vera? Il dubbio c’è, ma esprimerlo non mi sembra il modo migliore per iniziare l’intervista. Cosa preferisci: “fumetto” o “graphic novel”? «Quando mi chiedono cosa faccio, rispondo sempre che faccio fumetti». Fumetto sia, allora. Anzi, fumetti, perché i due volumi di Macerie prime sono una storia unica, divisa per un buon motivo: «Fin dall’inizio volevo che a metà ci fosse una pausa narrativa di sei mesi. E mi piaceva l’idea che questi sei mesi trascorres­sero anche nella vita dei lettori». Nei libri seguiamo le vicende di tanti personaggi, tutti già noti ai lettori di Zerocalcar­e e ispirati – liberament­e – ai suoi amici. Davanti a un caffè (per me) e un chinotto (per lui, che non fuma, non beve e non assume sostanze che alterano la coscienza o danno dipendenza, caffeina inclusa) cerchiamo di dipanare il rapporto tra persone e personaggi, realtà e narrazione. Non è semplice, perché quelli che traccia, e fa agire nel

«Non voglio tradire la mia identità. Se lo facessi tradirei anche le persone che la condividon­o, le mie radici, il mio mondo. Perderei tutto. Ed è una cosa che mi fa molta paura»

libri, non sono né ritratti identici delle persone a lui care, né invenzioni pure: «Cerco di essere il più rispettoso possibile della vita dei miei amici, pur tutelando la loro privacy. Per questo ho lasciato aperte fino all’ultimo alcune delle vicende raccontate in Macerie prime. Sei mesi dopo: ho aspettato di vedere come andavano a finire». Ma i tuoi amici come vivono tutto questo? «Sono fortunato: tendenzial­mente non leggono i miei fumetti» Tra il primo e il secondo volume nessuno di loro ti ha dato un parere?

«Leggendo Macerie prime alcuni hanno colto aspetti che io non avevo sviluppato appieno, come il fatto che i protagonis­ti si vogliono bene, ma non riescono a dirselo. Questo ha cambiato un po’ il lavoro che stavo facendo per il secondo volume. Ascolto il parere di tutti, ma quello delle persone raccontate nel libro mi provoca più paranoie. Non le vorrei mai tradire».

ANCHE SE a Roma c’è il sole, discutiamo del metaforico «naufragio» che fa da antefatto alla storia. «Alle superiori mi sentivo come su una nave con una rotta davanti: università, lavoro, famiglia. Quando sono uscito da scuola, nel 2001, il mondo del lavoro era cambiato e di conseguenz­a anche tutto il resto. È lì che ho provato il senso del naufragio. Per anni mi è sembrato di galleggiar­e: avevo un lavoro per sei mesi, poi lo perdevo, ne trovavo un altro, ma con la sensazione di non avanzare di un metro». Un discorso ancora attuale: oggi in Italia il 32% dei giovani non ha un lavoro. Ma il punto non è adagiarsi sulle macerie, bensì imparare a viverci

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