MANO LIBERA
Donnarumma impari da Buffon: la generosità paga (e fa vincere)
«DONNARUMMA? Lo paragono a un Modigliani. Vale 170 milioni. Ha un grande avvenire, è un ragazzo straordinario e si fa ben volere da tutti. È già un piccolo campione, ma potrà diventare un grande campione». In questi giorni di prodigi e figuracce, di rimpianti e di ostilità dei suoi ex tifosi, che una volta stravedevano per lui e ora sono arrivati a rifiutare a Bergamo la maglia che l’ex idolo aveva loro lanciato, Gigio dovrebbe andarsi a rileggere l’intervista che Mino Raiola diede a Premium Sport solo due anni e mezzo fa. Il 27 dicembre 2015. Cosa gli è rimasto in mano di quei luccichii che lo spregiudicato pizzaiolo arricchito di Nocera Inferiore gli faceva brillare davanti agli occhi? Nessuno più si sogna di definirlo «un Modigliani», non è più detto che il suo possa essere «un grande avvenire» , la Juventus che pareva pronta a sceglierlo come erede designato di Buffon ha cambiato idea, è riuscito con certe scelte (il capolavoro fu la fuga a Ibiza con un aereo privato il giorno degli esami di maturità) nell’impresa di non farsi più voler bene da tutti (anzi!) e lo stesso Raiola, per quanto cerchi di fare il furbo per strapparlo al Milan al prezzo più basso possibile, lo valuta oggi 30 milioni. Cioè 140 in meno di quelli che sparava. Auguri. NEL MOMENTO PIÙ BASSO della sua ascesa bruscamente interrotta (chieda a Mario Balotelli quanto siano difficili da recuperare la simpatia e la popolarità bruciate), ci sono altre parole che Gigio dovrebbe andare a rileggere. Quelle di giocatori che non si son fatti abbagliare dal fruscio delle banconote, non hanno preteso l’assunzione del fratello e non sono saliti sulla carrozza di Franz per il paese dei balocchi (ricordate Bennato? «Senti che suoni, c’è musica dall’altra parte / e nelle strade la gente che si diverte / è sempre festa, l’altra città ti aspetta…») ma sono stati ricambiati dall’affetto e dal rispetto dei loro tifosi. Si pensi a Damiano Tommasi, Francesco Totti, Gigi Buffon… del quale Gigio diceva ammirato: «Voglio imparare tutto da lui».
ECCO: COMINCI leggendo un’intervista di Buffon a Walter Veltroni dell’aprile 2006. Dove il più celebre portiere italiano spiegava perché dopo la retrocessione decise di scendere con la Juve in serie B. Aveva già 28 anni, veniva dalla vittoria ai Mondiali, aveva già avuto due infortuni seri nel 2000 (niente Europei) e nel 2005. Uno come Raiola non avrebbe avuto dubbi: via, a rastrellare soldi e soldi e soldi prima di chiuder la carriera. Lui fece il contrario: «Potevo lasciare la Juve, sì. Allora fui contattato da squadre importanti. Ma decisi di restare alla Juve in primo luogo per riconoscenza. Un valore che sarebbe bene riportare a galla. E poi volevo dimostrare concretamente che i valori del calcio in cui credo potevano essere non solo declamati retoricamente ma praticati. Il calcio non è solo business, è anche sentimenti. Senza i secondi anche il primo muore, dovremmo saperlo. Io, per parte mia, ho cercato di dimostrarlo». Nonostante la rinuncia (Gigio prenda nota) non ha vissuto di stenti. E non solo, dopo quel gesto di generosità ha vinto sette scudetti e quattro Coppe Italia: è rispettato e amato anche dagli anti-juventini.