VIDEOCRAZIA
Il mondo di Al Bano Carrisi, alieno e affascinante
HO SEMPRE CONSIDERATO il successo da esportazione di Al Bano & Romina una vittoria del made in Italy, della nostra musica leggera, e in generale una vendetta per chi non ama quelli con la puzza sotto il naso. È poi un graditissimo bonus il fatto che le grevi ironie di una volta sul successo del duo nei Paesi dell’Est, come se si fosse trattato di popolazioni antropologicamente inferiori, con la fine della Guerra Fredda ha fatto sì che Al Bano & Romina ma anche Toto Cotugno e tanti altri artisti sanremesi finissero a cantare in concerti ad hoc organizzati per un ricco pubblico di oligarchi (generalmente impermeabili al fascino dei nostri cantautori impegnati).
PER QUESTO HO ACCOLTO con enorme simpatia l’arrivo in tv delle due puntate di Madre Mia (Rete 4), la docufiction in cui Al Bano Carrisi racconta la vita della sua famiglia attraverso quella di sua madre Jolanda («L’origine del mio mondo», dice lui). Per me, settentrionale che ascolta più che altro opera e hip-hop, quello di Al Bano è un mondo musicale e culturale assolutamente alieno, e per questo interessantissimo. La storia di un ragazzo pugliese che sposa la figlia di uno dei più grandi divi di Hollywood e invece di trasferirsi a Bel Air (poteva farlo tranquillamente), imparare l’inglese e cercare un contratto oltreoceano resta in Italia, in Puglia, è una storia straordinaria: ci sarebbe voluto un grande scrittore, ma può bastare anche una docufiction per farsi un’idea.
NON HO MAI AMATO il mito tutto italiano della mamma, né la retorica un po’ bolsa del Sud da cartolina, e sostenere che Cellino San Marco sia un microcosmo dell’Italia sarebbe ovviamente azzardato. Nessuno meno di me poi nutre il mito della società agricolo-contadina, fatta di lavoro terrificante e pochissimo redditizio, e non ho mai subito il fascino di un mondo fatto al di là della retorica romantica di noi cittadini, in realtà, di sveglie antelucane in case senza acqua corrente per svuotare l’orinale ricolmo prima di una giornata di lavoro angosciante nei campi. Però pur da fan dell’Italia industriale e postindustriale mi sono accostato con infinito rispetto a questo racconto (al quale partecipano anche amici come Lino Banfi, Mara Venier, Michele Placido, Orietta Berti, Roby Facchinetti), la storia di 55 anni di carriera, di un matrimonio lungo e bello (poi finito) e di un’altra vicenda sentimentale.
SI PUÒ RIDERE guardando Madre mia? Certo che sì, siamo in un Paese libero. Ma l’Italia è anche il Paese in cui, dal ’60 al ’68, non nella preistoria ma nel decennio di Gio Ponti e del grande design, del boom e della Dolce Vita, un milione di italiani impararono a leggere grazie a un maestro di un programma della Rai, Alberto Manzi di Non è mai troppo tardi. Se Manzi avesse avuto la puzza sotto il naso, avrebbe fatto un bel programma sull’arte del Rinascimento, su misura dei miei genitori, e un milione di nostri compatrioti non avrebbero imparato a leggere grazie alla tv. Che ha tantissime colpe, ma sa parlare alle persone normali, anche se non è chic.