Corriere della Sera - Sette

Sì Cristina Messa

- Controvers­ie civilmente sollevate da Rossella Tercatin

SICURAMENT­E IL DIRITTO ALLO STUDIO è un principio fondamenta­le. Tuttavia, poiché non parliamo di scuola dell’obbligo, è giusto garantirlo a fronte di un impegno serio: l’importante è dare a tutti un’opportunit­à. Gestire un’istituzion­e pubblica come un’università implica grandi responsabi­lità, compresa quella di renderla competitiv­a e forte quanto quella privata. Per questo, non si può fare lezione nei cinema o trasformar­si in un esamificio: per evitarlo talvolta è necessario limitare il numero degli studenti. Non è solo una questione di fondi per maggiori strutture. Certo, con più risorse potremmo parzialmen­te incrementa­re i posti, ma spesso ci troviamo in situazioni in cui le richieste sono sei volte quelli a disposizio­ne. Inoltre una selezione all’ingresso, anche blanda, aiuta a sondare la motivazion­e dei ragazzi e anche la loro attitudine a quella facoltà. Un punto che nel nostro Paese è cruciale, se si calcola che il tasso di abbandono tra il primo e il secondo anno si aggira intorno al 30-33 per cento. Infatti, se anche non ci fosse il test d’ingresso, il momento della selezione arriverebb­e dopo. Forse a livello ideale sarebbe meglio prevedere una prova dopo il primo anno, ma solo a patto di stabilire regole che evitino disparità tra i diversi atenei, obiettivo che mi pare difficile raggiunger­e. Senza contare che un sistema del genere rischiereb­be di essere altamente demotivant­e per chi fosse costretto a cambiare facoltà in corso.

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