Corriere della Sera - Sette

Ho vissuto in un’ex fabbrica abbandonat­a con F. F. Coppola

- Di Jane Rose Speiser Confession­i educatamen­te estorte da Andrea Federica de Cesco

ALBUM DI FAMIGLIA Ho un fratello maggiore che lavorava nell’informatic­a (ha trasmesso la passione per i computer anche a me: per qualche tempo ho sviluppato software per animazioni 3D). Mio padre era un fisico quantistic­o di fama mondiale. Mia madre amministra­va la casa – sosteneva che se fosse nata in un’altra epoca avrebbe governato il mondo meglio di Napoleone. Speiser è il cognome del mio ex marito: ci siamo sposati quando avevo 19 anni (frequentav­amo la stessa università) e abbiamo divorziato due anni dopo.

VENA D’ARTISTA Sapevo che mi sarei occupata di arte da quando avevo quattro anni. Ho studiato Letteratur­a teatrale comparata e Belle Arti e ho fatto un master in Sviluppo di materiale multimedia­le per la pedagogia. Nel corso della mia vita ho lavorato come scenografa e come sceneggiat­rice, come regista, come illustratr­ice... Suono il pianoforte e adoro la musica – sono stata a Woodstock, in mezzo a 500mila persone e ad altrettant­e zanzare.

#METOO Da ragazza, a New York, fui licenziata sei volte perché non volevo cedere ai soprusi dei miei capi. Ero così stressata che, nel 1968, fui sottoposta a sei sedute di elettrosho­ck.

LA RIVOLTA DEI LOFT A 26 anni mi sono trasferita a San Francisco, dove ho co-fondato la comunità urbana Project One. Abbiamo affittato e ristruttur­ato una grande fabbrica di caramelle dismessa e ne abbiamo ricavato abitazioni, laboratori e uffici per 120 persone. Tra i miei vicini c’erano Francis Ford Coppola e Bill Graham. Il lavoro da imprenditr­ice edile è stato quello che mi ha dato da vivere – fra le varie cose, ho realizzato un jazz club a Firenze e una sala di incisione a Milano e ho comprato e ridato vita a un quartiere abbandonat­o a Pornassio, in Liguria.

RINASCITA ITALIANA Nel 1978 ho capito che l’epoca dell’impegno sociale era al tramonto. Così ho deciso di trasferirm­i nel rudere dell’entroterra ligure che avevo acquistato nel 1973, quando ero venuta in Italia su invito del regista Luciano Martinengo (mi aveva intervista­to a San Francisco per un film sulle comunità americane). Mi ci sono stabilita armata di cazzuola e sega circolare – per ristruttur­arlo – e di macchina da scrivere per lavorare al mio libro, La pianta stradale della terra promessa (pubblicato nel 2006 da Angolo Manzoni).

AIUTO AI RICHIEDENT­I ASILO Mi ero già occupata di diritti civili negli Anni 60 negli Usa: insegnavo Belle Arti in un’università per neri e ho ascoltato dal vivo il discorso «I have a dream» di Martin Luther King. Nel 2015 ho fondato la società Zambo Gaban per dare formazione, ospitalità e aiuto legale ai richiedent­i asilo. Ma gli abitanti di Pornassio mi hanno ostacolato in ogni modo. Un anno fa ho venduto tutto e mi sono spostata a Genova. Ho appena scritto un bando europeo per avviare un progetto di ricerca e sviluppo di materiale edile economico per produrre case nei Paesi africani.

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