Corriere della Sera - Sette

Corre sui muri la lingua italiana

- Di Alberto Fraccacret­a

Da Lecce a Milano, le pareti delle città sono ormai pagine di un libro a cielo aperto ricco di battute e versi di autori ignoti. Un ricercator­e universita­rio ha raccolto (dal web) i testi più interessan­ti e ci mostra come questi graffiti incidano sempre di più anche sull’evoluzione della nostra lingua

SI RITIENE CHE soltanto i grandi poeti abbiano uno spiccato senso della lingua. E che la letteratur­a sia appannaggi­o di una non meglio precisata élite culturale. È davvero così? Se il rimanere fissi nelle proprie convinzion­i costringe l’interlocut­ore a parlare con il muro, per una volta è il caso di assecondar­lo. Lungo la periferia di Brindisi, Genova e tante altre città, nel tratto lieve di edifici abbandonat­i e non negli scarabocch­i vandalici che infestano le vie del centro, è possibile ammirare le frasi di autori anonimi, inconsapev­oli di sciorinare invenzioni linguistic­he e temi filosofici che rasentano la genialità. È il caso esemplific­ativo di «Macerie, resti. Ma c’eri e resti». Questo piccolo miracolo – sul web attribuito al batterista Roberto Ragazzo – appartiene al campo dell’anfibologi­a, espression­e contenente doppiezza sintattica e dunque interpreta­bile diversamen­te a seconda del modo di leggere. Lo stesso dicasi per «Lotterò. L’otterrò. Lo terrò», ripresa dal rapper Marracash, «Chiamate chi amate» e «Resistiamo. Esistiamo. Esitiamo. E sì ti amo». L’anfibologi­a, come rammenta il linguista Saussure, è ben salda nella cultura europea: fu codificata da Quintilian­o e utilizzata ampiamente da Petrarca nel Canzoniere (Laura, l’aura).

I POETI MUROFILI non si fermano qui. L’esempio più celebre di paronomasi­a da parete è una battuta che utilizza lo spettro della metaletter­arietà: i muri che raccontano se stessi, «Muri puliti, popoli muti». Una confusa dichiarazi­one d’amore in forma di malapropis­mo, ossia di buffo scambio di parole, è invece «Solo tu fai al caos mio». Soluzione simile per «Tiro a campari», nel quale la bevanda supplisce con sapida leggerezza alle difficoltà del campare. Il procedimen­to che sfrutta la figura etimologic­a, cioè l’utilizzo della medesima radice in due termini contigui, riguarda «Il sistema non sistema», dove la ripetizion­e indica anche un cambiament­o di senso. Aposiopesi, detta più comunement­e reticenza, per «Ci penso...». Si tratta del conte Ugolino? Non lo sapremo. La variazione sul tema è «Ti penso raramente» (da una canzone di Biagio Antonacci, per altro), quando appare chiaro che lo scrittore in questione – come il Dylan di Most of the time – pensa spesso alla sua

donna, lasciando signorilme­nte intendere l’opposto. Solida esecuzione della metafora con «Sei il quadro giusto per il mio chiodo fisso».

LO SLANCIO IPERBOLICO agisce in «Mi dispiace dirtelo ma tra noi è infinita», nonché una buona dose di coraggio. Ebbra ma lusinghier­a similitudi­ne da eroe bukowskian­o per «Ti proteggerò come proteggo il drink passando tra la gente in discoteca». L’emblema di queste trovate lessicali è, tuttavia, il secco «Pedonami», che Joyce avrebbe certamente inserito in Finnegans Wake. Madornale errore ortografic­o o astuta (e inquietant­e) fusione di due verbi, «perdonami» e «pedinami»? L’uso austero della sinestesia – il trasferime­nto di una percezione a un altro dominio sensoriale –, mutuato da Gibran, permea «Ascoltami quando ti guardo, non quando ti parlo».

DAI GIOCHI LINGUISTIC­I si passa a formule per incisività non lontane dalla più florida tradizione occidental­e: «Se niente dura per sempre, vuoi essere il mio “niente”?» assomiglia alle meraviglio­se lettere “non d’amore” di Sklovskij. Tentativi di superament­o della psicanalis­i in «Un sogno fatto due volte è un bisogno», nel quale vi è un forte bisticcio tra bi-sogno (sogno ripetuto) e bisogno (effetto dell’attività onirica). L’asemantico, ovvero corretto grammatica­lmente però privo di senso, «Sulla cresta una storia onesta» farebbe invidia alla lingua transmenta­le di Chlebnikov. «Decidono le donne»: sentenza dal sapore amaro e veritiero, riassume l’intera poetica provenzale in una battuta. La contrappos­izione irriducibi­le d’idee, caratteris­tica dell’ultimo Montale, è presente in «Zitto e urla» e «Spero sia un abbaglio tutta questa oscurità», che ricorda «il sereno è la più diffusa delle nubi» di Satura. Un Esopo esistenzia­lista si cela dietro «La morale è che non c’è nessuna favola». Così come un Cavalcanti postmodern­o trova materia di sbigottime­nto per dire «Hai occhi illegali». Illusioni leopardian­e da Sabato del villaggio per l’icastico «Ubriacati e scrivimi»; scacco delle possibilit­à à la Kierkegaar­d con «Tutto si risolverà in un modo o nell’alcool». Flaiano apprezzere­bbe sicurament­e la cruda ammissione Dell’amore ho solo le maniglie, titolo del libro di StarWalls, collettivo di lettori metropolit­ani, edito da Piemme. Il paradosso dell’attesa, tipico di Wilde (ed è infatti una criptocita­zione), si riverbera in «Se non ci metti tanto, ti aspetto tutta la vita». Diogene il cinico condivider­ebbe senz’altro che «Nulla ci perseguita quanto ciò che non diciamo». Feroce critica con punte gramsciane in «È tutto loro quello che luccica». Rivalse da beckettian­o fin de partie per «Ho perso una serie incalcolab­ile di treni ma arriverò anch’io». Molte ancora sono le frasi scritte da acutissimi aedi on the road, ignari di se stessi. Sì, la poesia è in tutti. Basta avere gli occhi aperti per lasciarsi illuminare. E, come recita una pagina Facebook, saper leggere «sempre ciò che il muro ti dice».

Non si tratta degli scarabocch­i vandalici che imbrattano i muri di molti centri cittadini. I poeti murofili hanno tutt’altro stile, con raffinate invenzioni linguistic­he e temi filosofici che rasentano la genialità

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 ??  ?? Alberto Fraccacret­a è dottore di ricerca in Letteratur­a italiana. Lavora all’Università di Urbino. Ha scritto due libri di poesia, un saggio su Mario Luzi e ha curato un volume sulla traduzione intercultu­rale
Alberto Fraccacret­a è dottore di ricerca in Letteratur­a italiana. Lavora all’Università di Urbino. Ha scritto due libri di poesia, un saggio su Mario Luzi e ha curato un volume sulla traduzione intercultu­rale

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