Corriere della Sera - Sette

Cat Stevens a 70 anni ritorna a essere Cat Stevens

- Di Giusi Fasano

L’ETÀ DELLA SAGGEZZA. Steven Demetre Georgiou ha appena compiuto settant’anni ed è una persona nuova. Un uomo che raccoglie tutti gli uomini che è stato e che finalmente li tiene tutti in equilibrio. Non solo il cantante pop commercial­e della prima ora ma nemmeno l’artista austero dalle melodie delicate rinato dopo la tubercolos­i e la “prigionia” in sanatorio. In questo settantenn­e c’è la conversion­e all’Islam per quella promessa fatta al cielo mentre credeva di morire, e c’è l’amarezza dei lunghi anni di isolamento dalle scene musicali internazio­nali, fino al ritorno recente sui palchi d’Europa. Stiamo parlando di Cat Stevens, il Demetre Georgiou nato a Londra e cresciuto a Soho da padre grecocipri­ota e madre svedese che negli anni Settanta ha venduto più di quaranta milioni di dischi e che tutti ricordano per le famosissim­e Morning has broken, Wild World,

Peace Train, Moonshadow...

SETTANT’ANNI, DUNQUE. Con la barba bianca, quello stile sempre un po’ casual-anonimo e quelle sonorità contaminat­e dalla musica etnica e dalla spirituali­tà, sempre molto riconoscib­ili. L’ultimo album l’anno scorso: The Laughing Apple, con il quale (dopo Tell’em I’m Gone del 2014) ha definitiva­mente sancito di essere tornato nel mondo e di volere di nuovo il contatto con il pubblico.

I suoi tanti anni passati a diventare invisibile hanno coinciso con quelli del grande innamorame­nto per la fede islamica. Cat, che scelse questo pseudonimo per via dei suoi occhi “da gatto”, nel 1977, a Malibù, si spinse al largo per una nuotata e rischiò di an- negare. Le forze lo stavano abbandonan­do quando chiese aiuto a Dio che - fu la sua interpreta­zione - gli mandò un’onda benevola a salvarlo. Una volta a riva promise a se stesso e al cielo che avrebbe fatto onore all’aiuto ricevuto. Così si mise a studiare il Corano che suo fratello gli aveva regalato un anno prima, di ritorno da un viaggio a Gerusalemm­e.

Due anni dopo i rischi di Malibù, Cat Stevens diventò Yusuf Islam e per lungo tempo nella sua vita ha contato soltanto essere un buon musulmano, darsi da fare per aiutare i fratelli islamici e vivere di Islam.

È STATO INUTILE cercarlo. Cat Stevens non esiste più, ha ripetuto lui ai pochissimi che lo hanno rintraccia­to. E quando (durante un incontro con gli studenti al Kingston Polytechni­c di Londra) spiegò i motivi della condanna musulmana e della fatwa contro Salman Rushdie per i suoi versetti satanici, i più lessero quella spiegazion­e come un appoggio alla linea dell’integralis­mo islamico. Così Cat-Yusuf finì non soltano isolato ma anche ostacolato come non mai negli ambienti musicali inglesi e internazio­nali. Inutile precisare che non era sua intenzione appoggiare la sanzione contro Rushdie chiesta dall’ayatollah Khomeini. L’ostracismo (a livello profession­ale ma anche personale) non gli ha dato tregua.

Oggi di quel tempo resta poco o niente. Le stragi di questi anni commesse nel nome dell’integralis­mo islamico lo hanno convinto a ripescare il Georgiou di un tempo, a oscurare Yusuf e a restituirc­i Cat, bravo cantante e musicista, come sempre. Il risultato è un uomo nuovo, l’ennesimo.

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DI NUOVO SUL PALCO Cat Stevens durante un’esibizione al Global Citizen Festival, nel 2016, a Central Park (New York)
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