Corriere della Sera - Sette

Il vento degli anni

- GIORGIO CAPRONI Versi amorevolme­nte recuperati da 1982 Luca Mastranton­io

Aspetto e ascolto.

(L’acqua, da quanti milioni d’anni, l’acqua, ha questo suo stesso suono sulle sue pietre?)

Mi sento perso nel tempo. Fuori dal tempo, forse.

Ma sono con me stesso. Non voglio lasciar me stesso – uscire da me stesso come, la notte, dal sotterrane­o il grillotalp­a in cerca d’altro buio.

Il trifoglio della città è troppo fitto. Io son già cieco. Ma qui vedo. Parlo.

Qui dialogo. Io qui mi rispondo e ho il mio interlocut­ore . Non voglio murarlo nel silenzio sordo d’un frastuono senz’ombra d’anima. Di parole senza più anima.

Certo

(è il vento degli anni ch’entra nella mente e ne turba le foglie) a volte Nel Giorgio Caproni (Livorno, 1912 – Roma, 1990) tenne a Roma la lezione (ItaloSvevo, 2016). Dopo aver letto i versi di Parole (dopo l’esodo) dell’ultimo della Moglia, che trovate in pagina, parlò delle differenze tra linguaggio poetico e comunicati­vo: immaginate, disse, che a «suonare il rancio» sia un trombettis­ta che usa un flauto. Il segnale è lo stesso, la forma è diversa, spiazza, emoziona. E ancora: il poeta è un minatore che scende nelle gallerie dell’anima e trova i nodi di luce che ci illuminano. Scandaglia l’io, scopre il noi.

Sulla poesia

il cuore mi balza in gola se penso a quant’ho perso. A tutta la gaia consorteri­a di ieri. Agli abbracci. Gli schiaffi. Alle matte risate, la sera, all’osteria dietro alle donne. Alte da spaccar le vetrate.

Ma non m’arrendo. Ancora non ho perso me stesso. Non sono, con me stesso, ancora solo.

E solo quando sarò così solo da non aver più nemmeno me stesso per compagnia, allora prenderò anch’io la mia decisione.

Staccherò dal muro la lanterna, un’alba, e dirò addio al vuoto.

A passo a passo scenderò nel vallone.

Ma anche allora, in nome di che, e dove troverò un senso (che altri, pare, non han trovato), lasciato questo mio sasso?

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