Corriere della Sera - Sette

La gara degli incipit: meglio il selfie con Calvino o il plotone di Márquez?

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QUESTO LIBRO

(«Incipit. 2001 modi per iniziare un romanzo») ha 25 anni e diverse versioni. La prima volta le ouverture erano “solo” 1.430 e il titolo veniva da uno degli attacchi più famosi al mondo, quello di Snoopy: «Era una notte buia e tempestosa». Gli autori di Incipit (Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi e Antonio Stella) si sono sempre preoccupat­i di dare un senso alla loro collezione abbondando in prefazioni, compresa quella “storica” di Umberto Eco. Ma il bello di un libro così è di non avere senso. Bisogna pascolarci dentro liberament­e leggendo un incipit dietro l’altro, lasciando scattare qualche as- sociazione automatica. Magari aprire a caso e vedere che si trova.

Ecco fatto: «“Come si chiama lei?” “Marangoni Antonio, io sto lì alla Cascina Luasca, sono più di cinquant’anni che tutte le mattine vado a Rogoredo in bicicletta”». Sono le prime frasi di Venere privata (che titolo!) di Giorgio Scerbanenc­o e spiegano da sole perché il noir piace tanto alla gente. È un attacco in cui sento un po’ di Enzo Jannacci. D’altra parte, gente come l’Armando, che veniva giù dall’armadio, e il palo della banda dell’Ortica sono parenti stretti di Scerbanenc­o. Così come, per restare nell’interscamb­io canzoni/romanzi, c’è un po’ del Philip Marlowe di Chandler negli

di Paolo Conte.

Non si sa mai dove si può andare a finire partendo da un semplice incipit. Un incipit è sempre un “Apriti Sesamo”.

Citato Chandler, citiamone un incipit. Eccolo (da «Anna Halsey, mezza età, faccia tinta e ritinta, vestito nero di taglio maschile, era vicina ai centoventi chili. I suoi occhi erano simili a due bottoni neri da scarpe, le sue guance molli come il sego e approssima­tivamente dello stesso colore. Sedeva dietro a un tavolo di vetro nero che pareva la tomba di Napoleone e fumava una

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