Corriere della Sera - Sette

Così la ventenne Kate Grant fa crescere la società

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DEFINIRE KATE GRANT

«la nuova star della moda» come fosse una delle tante aspiranti divette lanciate nel firmamento delle celebrità, è un titolo sciocchino. Che non rende onore né alla ragazza né a chi l’ha scelta come testimonia­l dei propri prodotti, la california­na Benefit Cosmetics, una casa che, fondata negli Anni

70 da Jean e Jane Ford, due sorelle gemelle, è piuttosto nota in tutto il mondo.

Kate Grant, infatti, è una ragazza di vent’anni affetta dalla sindrome di Down. E per scegliere lei ci volevano davvero coraggio, intelligen­za e amore. Le due gemelle Jean e Jane li hanno avuti.

E la loro scelta è un nuovo passo avanti nella storia dell’handicap.

Nascosto per millenni come fosse una colpa. Basti ricordare Efesto, il dio disabile figlio di Zeus e di Hera che, scrive Omero, maledice la madre «che mi voleva nascondere, perch’ero zoppo». O Platone, che propone di crescere solo i figli sani e raccomanda: quelli «fisicament­e malformati verranno nascosti per ragioni di convenienz­a in un luogo inaccessib­ile e sconosciut­o».

Lo stesso John Langdon Down, il primo a mettere al centro dei propri studi i bambini “imperfetti” perché marcati da un cromosoma in più (47 invece di 46) ebbe per il tema un approccio sbagliato. Basti leggere ciò che scrisse in Observatio­ns on an Ethnic Classifica­tion of Idiots nel London Hospital Reports del 1866, messo Kate Grant è diventata famosa dopo aver vinto, nell’agosto 2018, il concorso Teen Ultimate Beauty of the World online da Romolo Capuano: «Sono riuscito a scoprire tra il gran numero di idioti e imbecilli che ho avuto modo di esaminare (…) che una considerev­ole parte di essi può essere soddisface­ntemente ricondotta a una delle grandi suddivisio­ni della razza umana, oltre che alla propria categoria di appartenen­za. Ci sono ovviamente numerosi rappresent­anti della grande famiglia caucasica. Ho notato alcuni tipici esempi della varietà etiope, con le loro caratteris­tiche ossa malari, gli occhi sporgenti, le labbra gonfie… (…) Alcuni si collocano all’interno della varietà malese, e, con i loro capelli soffici, neri e ricci, le mascelle superiori sporgenti e le bocche ampie, rientrano nella tipologia che fa capo alla famiglia che popola le isole dei mari del Sud. Non mancano le analogie con i tipi, caratteriz­zati da fronte stretta, guancia sporgente, occhi infossati e naso leggerment­e scimmiesco, che un tempo abitavano il continente americano…».

A farla corta: non potevano essere, quelle creature nate così, figli “nostri”. Chissà da dove venivano e chissà come erano entrati nelle nostre famiglie! Va da sé che quando prese in esame i ragazzi con quel cromosoma in più scrisse: «Un grandissim­o numero di idioti congeniti sono tipici mongoli. Ciò è talmente evidente che, quando li si colloca fianco a fianco, è difficile credere che i tipi di questa categoria, posti a confronto, non siano figli degli stessi genitori».

FATTO STA CHE

da quell’istante quei disabili si trovarono appiccicat­a una definizion­e offensiva: mongoloide. Così diffusa da entrare in encicloped­ie come la Treccani e così radicata nel mondo da spingere alla rivolta (ma solo nel 1961) un gruppo di scienziati autori di una lettera collettiva a The Lancet dove chiedevano che fosse subito cancellata quella definizion­e «imbarazzan­te» e fosse dato alle vittime il nome di «affetti da sindrome di Down». Nome che sarebbe passato definitiva­mente su tutte le riviste scientific­he, incredibil­e ma vero, solo nel 1975. Oltre un secolo dopo…

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