Il flop delle lauree professionalizzanti Raccontateci le vostre esperienze
Uno dei buchi più grossi nel sistema scolastico italiano riguarda l’istruzione tecnica terziaria, quelle minilauree o corsi per postdiplomati che negli altri Paesi (vedi la Germania) costituiscono il serbatoio dei nuovi tecnici superspecializzati di cui le imprese hanno sempre più bisogno. In Italia, da oltre dieci anni, ci sono gli
Its, che sfornano nel loro percorso biennale circa diecimila superdiplomati e, da un anno, anche le nuove lauree professionalizzanti: percorsi molto pratici, gestiti dalle università insieme alle associazioni di categoria, che hanno lo stesso scopo degli Its ma all’interno degli atenei. Il bilancio dei 14 corsi attivati per questo anno accademico non è esaltante: nonostante i posti fossero soltanto poco superiori a 700, le università non sono riuscite a riempirli tutti. Partiti in sordina e in qualche caso solo tollerati negli atenei, i corsi comunque ripartiranno, con un numero maggiore di posti, anche per l’anno prossimo. Sugli istituti tecnici scrivete a lettereasette@rcs.it le vostre esperienze di docenti o alunni.
L’INCHIESTA
Avete mai visto un tornio? Non in fotografia, ma dal vero. Mentre fa il suo mestiere di tornio e cioè “tornisce” un cilindro di metallo asportando il truciolo, il materiale che non serve. Se avete fatto il liceo, al novanta per cento risponderete di no. Ma se siete un ex ragazzo dell’istituto tecnico, allora è tutta un’altra storia. Un pezzo di storia d’Italia che vogliamo raccontarvi facendovi entrare in una scuola che, fra vecchi torni elettrici in ghisa e nuovi torni computerizzati, quella storia l’ha fatta e continua a portarla avanti: l’Istituto Tecnico Industriale Avogadro di Torino, che dal 1905 ha sede in un imponente edificio in stile Liberty all’ombra della Mole Antonelliana.
«Il boom è passato di qui» «La nostra scuola, lo dico con ostentato orgoglio, è stata fra i protagonisti del boom economico italiano. Qui, negli Anni 50 e 60, la Fiat ha costruito i suoi quadri tecnici», racconta il preside Tommaso De Luca, laurea in lettere, un contratto di docenza in letteratura comparata all’Università di Torino e una lunga militanza prima come insegnante e poi come dirigente sempre e solo nei tecnici. E oggi? «Oggi continuiamo a lavorare in stretta sinergia con le realtà industriali del territorio. I nostri diplomati sono richiestissimi dal settore manifatturiero. Di solito in questi giorni mando in giro gli elenchi dei ragazzi che hanno fatto la maturità a luglio, ma il fatto è che non ce n’è già più nessuno che sia ancora a spasso. Le aziende ce li strappano letteralmente di mano».
I più richiesti sono i periti elettronici ed elettrotecnici. Come Lucia Sibille, 18enne, ultimo anno dell’Istituto tecnico industriale,
sorriso smagliante e grinta da vendere. È l’unica donna in una classe di venti ragazzi, tutti impegnati in un percorso speciale di alternanza in Enel. Con tanto di stipendio mensile (300 euro lordi, 280 netti) e – quello che è più importante – con la prospettiva finale, al termine dei tre anni di apprendistato, di un contratto di assunzione a tempo indeterminato. In un video autoprodotto con i suoi compagni la si vede mentre, tuta e elmetto d’ordinanza, sale imbragata sulla copia di un palo dell’alta tensione. «L’ho vista lavorare sul campo», dice il professor Rocco Del Giudice, suo tutor, «è la leader indiscussa del gruppo». È vero? «Non lo faccio apposta», si schermisce lei, «è che ho l’attitudine al comando».
Al lavoro il 50% di chi esce Lucia fa parte di quel cinquanta per cento di diplomati dell’Avogadro che dopo la Maturità va a lavorare. E gli altri? «Gli altri si iscrivono all’università, ma non tutti poi proseguono: un venti per cento circa molla fra il primo e il secondo anno», spiega De Luca. E qui si apre il capitolo, spinosissimo, delle lauree brevi professionalizzanti che mancano nel nostro Paese, mentre altrove – leggi in Germania – sfornano centinaia di migliaia di tecnici superspecializzati. In Italia se ne parla da anni ma stentano a decollare, strette
dice De Luca, «che va nella direzione opposta a quello che servirebbe per colmare il cosiddetto mismatch, il disallineamento fra la preparazione richiesta dalle aziende e quella offerta dalle scuole di cui tanto si parla sui giornali».
E poi c’è il problema delle competenze di base, quelle misurate dall’Invalsi, su cui i ragazzi del tecnico arrancano rispetto ai loro coetanei del classico e dello scientifico. «Di cosa ci si sorprende? Quella italiana è una scuola di classe dove i figli dei laureati vanno al liceo, mentre da noi vengono tutti gli altri», dice De Luca. Dei 1.300 studenti di questo istituto, uno su quattro è figlio di immigrati. «Al primo anno è un’ecatombe: un ragazzo su tre viene bocciato. Alcuni ci riprovano, gli altri finiscono al professionale». Ma quelli che ce la fanno, almeno qui all’Avogadro, sono ragazzi ultramotivati e entusiasti, con una determinazione che spesso manca a tanti loro coetanei. E magari, anzi sicuramente, avranno letto meno libri di storia dei loro colleghi iscritti al liceo, ma in compenso possono mettere le loro competenze tecnologiche al servizio della memoria collettiva. Come? Per esempio creando una app che consente di geolocalizzare tutte le pietre d’inciampo di Torino, compresa quella davanti a scuola dedicata a Teresio Fasciolo, un ex studente che, unitosi ai partigiani delle Valli di Lanzo, fu catturato e deportato a Mauthausen dove morì nel maggio del 1944. Informazioni, queste, che si possono leggere nella piattaforma ideata dagli alunni dell’indirizzo informatica e telecomunicazioni dell’Avogadro. Bravi, no, questi ragazzi?