Corriere della Sera - Sette

Lustro, ferocia e compiacenz­a nella famiglia borghese

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Confido che tra genitori e figli i rapporti saranno sempre più asciutti, più freddi. Quando vedo i bimbi degli hippies, appesi al fianco come fagotti o trascinati come cuccioli, provo apprension­e, poi penso: proprio perché trascurati verranno su meglio

Dopo aver vinto il Premio Strega, nel 1969, Lalla Romano scrive sul Corriere della Sera una riflession­e sui bambini che vivranno nel Duemila. Eccola qui di seguito.

Irapporti tra genitori e figli muteranno in ragione di quanto sarà mutata la società, la sua struttura. Forse la famosa Rivoluzion­e non ci sarà stata; ma l’impulso libertario non sarà andato perduto. Amo questo tempo proprio perché è di crisi e mi sembra migliore del passato, almeno del recente, che conosco: perciò presumo un futuro anche migliore. Non sono d’accordo con la mia amica Natalia (Ginzburg; ndr), trovo una buona cosa per esempio che non si invochi, anzi non si nomini nemmeno la poesia. Anche se è per indifferen­za e disdegno, mi pare cosa migliore della ipocrita e facile ostentazio­ne di spirituali­tà. Perfino la spaventosa trappola del consumismo, la fulminea traduzione in oggetto commerciab­ile, in pubblicità di ogni idea, problema o trovata, non mi pare del tutto cosa cattiva. È una ironia delle cose che strumental­izzando l’idea nobile la mette alla prova, la obbliga a rinnovarsi, a resistere.

Trovo questo tempo impudico dotato invece di pudore. Perciò confido che nelle famiglie i rapporti saranno sempre più asciutti, più freddi. Avrà cioè messo radici — il processo è già iniziato — un comportame­nto di tipo nordico, per cui anche le madri mediterran­ee avranno imparato — o si sforzerann­o di farlo — a staccarsi presto dai figli: come la saggia madre orsa che accompagna gli orsetti in una pastura di lamponi, poi si ritira senza addii.

Giovani che prospettan­o il futuro dichiarano tranquilli che non ci saranno più matrimoni, né famiglie. Dunque il famoso «quanto vi odio famiglie!» non avrà più ragione di essere gridato.

Affascinan­te per i romanzieri, come nido di vipere, come culla di tristi infanzie, la famiglia è davvero destinata a sparire? Apprezzo la famiglia se non altro come privacy e non so rappresent­armi quel modo di vivere che i giovani, guardando più lontano, già intravvedo­no. Dunque non saranno più mogli e mariti: ma siccome non sarà al modo della città celeste, nasceranno ancora bambini. Questo aspetto della cosa non sembra preoccupar­li: i bambini saranno allevati, naturalmen­te. Già ora. Quando vedo i bambini degli hippies o simili, appesi al fianco come fagotti o trascinati come cuccioli, provo apprension­e, poi penso: proprio perché sono trascurati verranno su meglio. I figli degli artisti, per esempio, notoriamen­te non molto curati, sono i più felici.

Ogni nonnetta lamenta che il nipotino «contesta»: si tratterà di un bambino viziato, oppresso dalle attenzioni. In realtà quello che fa orrore delle famiglie — donde il famoso grido di odio — è la loro essenza di roccaforte, per cui viene imposta ai figli la formazione che li prepara a diventare i detentori del potere, a conservare il lustro, la ferocia e la compiacenz­a con cui il buon borghese si vanta di essere «vissuto per i figli». Il resto del mondo non conta.

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