50 SFUMATURE DI ELISABETTA COSÌ LONDRA RACCONTA (PER LA PRIMA VOLTA) LA SUA REGINA
Dipinti e ologrammi, sculture e patchwork. Dallo zerbino con il simbolo della sovrana dell’italiano Riello all’opera irriverente di Alison Jackson in cui Sua Altezza lava i piatti (mentre il ritratto in bikini è stato censurato). Un terzo delle artiste sono donne. La curatrice:
«Ne avrei volute di più»
La corona è un peso. In tutti i sensi. Quando la scorsa settimana a Westminster ha pronunciato il Queen’s Speech, il discorso programmatico del governo, Elisabetta ha dovuto lasciarla adagiata su un cuscino davanti a lei, limitandosi a indossare una tiara più leggera. Ormai, a 93 anni, Elisabetta sente il fardello di ciò che porta sul capo dal 1953.
Perché The Crown è più di un simbolo: come ha sempre mostrato l’omonima serie televisiva, di cui sta per arrivare in tv la terza stagione, la Corona va oltre la persona che la regge, è l’architrave su cui poggia l’intero edificio del Regno Unito. E averla su di sé è la più alta responsabilità cui si possa essere chiamati dal destino.
Un ruolo cui Elisabetta è stata ogni giorno all’altezza: sempre presente, sempre silente, imperturbabile alle tempeste della Storia. La sovrana più longeva della Gran Bretagna, amata e rispettata dai sudditi, che invece hanno spesso dovuto storcere il naso davanti alle stravaganze dei suoi eredi, da Carlo a Harry e Meghan. E dunque stupisce un po’ che in tutti questi anni, a Londra, non le sia stata mai dedicata una mostra o un qualunque tributo di ampio respiro.
L’italiana Monica Colussi
Ci ha pensato un’italiana, la curatrice Monica Colussi, da più di vent’anni nella capitale britannica e punto di riferimento del milieu artistico: che ha allestito una ampia rassegna visitabile in questi giorni allo spazio Fiat Chrysler di Marylebone, in pieno centro, alle spalle di Selfridge’s.
E il titolo non poteva che essere “God save the Queen”, l’inno nazionale che invoca la protezione divina sulla sovrana. «Ho provato sempre una grande ammirazione per Elisabetta», racconta Monica Colussi, «una donna che viene investita di poteri quasi sovrannaturali». E non a caso, sarebbe da aggiungere, visto che secondo la leggenda i reali britannici discendono dagli dei (da Odino, per la precisione). «Ma devo ammettere», continua la curatrice, «che quando ero arrivata, molti anni fa, ero quasi infastidita dalla venerazione per la monarchia. Poi, vivendo qui, ho visto la passione dei connazionali per Elisabetta e mi si è accesa la curiosità sul perché di tutto questo».
Un interesse sfociato ora in questa esposizione, che raccoglie oltre 50 opere di 33 artisti diversi: «Una mostra monotematica, ma sicuramente non monotona», sottolinea Colussi. Perché la figura della Regina viene reinterpretata attraverso dipinti e ologrammi, sculture e patchwork, fino agli audio musicali. I tre quarti
dei lavori sono stati creati espressamente per l’occasione, anche se si è partiti da un nucleo di opere preesistenti.
I «deep fake» reali
Un terzo delle artiste rappresentate sono donne: la curatrice avrebbe voluto che fossero la metà, ma ammette che non è riuscita a trovarne abbastanza. Sono comunque presenti le nazionalità più disparate, anche se la selezione si è basata su chi aveva già lavorato sul tema della Regina. Monica Colussi è partita dai fotografi – ce ne sono sei, due donne – e si va dai ritratti rispettosi, come quelli di Terry O’Neill, fino alle immagini irriverenti di Alison Jackson, che utilizza dei sosia per creare dei deep fake in cui si vede Elisabetta lavare i piatti o fare colazione con i suoi corgies.
«Nella mostra si trovano espresse posizioni politiche diverse nei confronti della monarchia», commenta la curatrice, «ma ho voluto che comunque ci si mantenesse in una cornice di eleganza e rispetto». E per questo ha rifiutato una immagine di Elisabetta in bikini, mentre c’è una giovane sovrana immaginata in posa alla Christine Keeler.
Diversi anche gli artisti italiani presenti, pure loro spesso sul filo dell’ironia: come Antonio Riello, che ha realizzato uno zerbino con il simbolo della sovrana, mentre l’architetto milanese Piero Russi ha virato su temi calcistici, presentando un’immagine, composta